sabato 29 marzo 2014

Una casa da salvare


Erano dieci anni che non mettevo piede in quella casa. Troppo doloroso. Troppi ricordi. Da quando la nonna era morta non avevo più voluto entrarvi: non ce n’era motivo. Ma quando papà mi comunicò la sua intenzione di vendere la vecchia casa, qualcosa si ribellò in me. La casa della nonna era piena di ricordi della mia infanzia e la sua tragica ed improvvisa morte mi aveva segnato. E ogni volta che pensavo a lei un laccio mi strizzava il cuore. Mi mancava molto ed avevo evitato di ripercorrere quelle stanze dove avevo trascorso molti giorni felici durante la mia infanzia. Ma mai e poi mai avrei permesso a degli estranei di entrarvi e di viverci. Così, con fermezza, chiesi a mio padre di cedermela per andarci a vivere da sola. Dopotutto ormai ero grande ed era giunta l’ora di spiccare il volo. Papà dapprima si meravigliò: gli sembrò strano che volessi vivere proprio in quella casa, dove per tanti anni mi ero rifiutata di entrare. Ma non si oppose, anzi, sembrò in qualche modo sollevato. Credo che in fondo dispiacesse anche a lui doverla vendere. Ma in lui era sempre prevalso il senso pratico della vita, a discapito delle passioni e dei ricordi, e piuttosto che lasciare una casa chiusa e disabitata destinata ad un lento, ma inevitabile degrado, preferiva venderla. Era sicuramente un sollievo per lui darla a sua figlia, che l’amava quanto lui.
E così mi imbarcai in questa fantastica avventura.
All’inizio si trattò di ripulire tutto dalla polvere e di rinfrescare ogni stanza. Diedi una mano di tintura in tutte le stanze, mantenendo il colore bianco originale. Di giorno mi improvvisavo imbianchina, aiutata dai miei genitori, e di sera, quando mi chiamavano, facevo la cameriera. Non avevo ancora trovato la mia strada lavorativa. Facevo lavori saltuari. Dopotutto, mi dicevo, ero ancora giovane e preferivo divertirmi con gli amici quando potevo. E poi non avevo una vera passione per qualcosa in particolare. Vivevo, come si suol dire, alla giornata.
Quando fu tutto più pulito e fresco e non rimaneva che trasferirmi, mi resi conto che quella casa non mi rispecchiava. Quella era ancora la casa della nonna e non rispondeva alle mi esigenze di ventenne. Si trattava di rinnovare la casa, ma senza ristrutturarla: non potevo permettermelo economicamente, né volevo imbarcarmi in lavoro di ristrutturazione, lunghi, impegnativi e polverosi. Per fortuna le stanze erano belle ampie da essere comunque versatili e potei disporre gli arredi a piacimento.
Mi recai in edicola ed acquistai tutte le riviste che parlavano di case e di arredamento e le studiai attentamente. Poi stesi un progettino: decisi la destinazione di ogni stanza; come sistemare i mobili della nonna, quali salvare, magari riciclandoli, e quali eliminare definitivamente; infine decisi il pattern dei colori da usare per tessuti e oggettistica. Non cambiai il colore delle pareti: preferivo lasciare il bianco per dare maggiore luce agli ambienti e giocare con i colori di tessuti ed accessori.
La mia vita cambiò molto. Avevo finalmente un progetto da seguire e mai come ora mi ero appassionata a qualcosa. In pochi giorni divenni una vera esperta in arredamento d’interni, grazie anche a internet. Acquistai tende e cuscini nuovi. Alcuni mobili li ridipinsi, per alcuni gli cambiai la destinazione. Il salotto fu il mio maggior successo. La vecchia poltrona della nonna, , ancora in buone condizioni,  rifoderata con un bel tessuto fluo bastava da sola per dare un nuovo aspetto, più giovanile, al salotto.  Gli accostai il vecchio tavolino un po’ tarlato che teneva al piano di sopra, dopo averlo leggermente carteggiato e avergli dato una mano di impregnante. Il massimo fu disporre in un angolo le vecchie valigie trovate in soffitta e destinate alla discarica,  impilandole per grandezza decrescente; sopra ci appesi una composizione di cartine geografiche, acquistate nuove. Per le altre stanze mi comportai più o meno allo stesso modo, riaccostai mobili diversi, riciclai il possibile, imparai tecniche fai-da-te, dall’uncinetto al decoupage.
In poco tempo la vecchia casa della nonna divenne la mia casa, fresca ed accogliente. Così potei finalmente trasferirmi. Organizzai una bella cena con i miei genitori e con gli amici, che non risparmiarono i complimenti per il risultato che avevo ottenuto nella casa, perché come cuoca lasciavo ancora a desiderare. Ero felice come non mai. In quei pochi mesi mi ero davvero divertita ed avevo ottenuto proprio un bel risultato. Mi resi conto che mi sarebbe piaciuto ricominciare mille volte questa esperienza, che mi aveva coinvolto e dato un’energia nuova, che non avrei mai immaginato di possedere.
Decisi così di diventare un’arredatrice di interni, trovando finalmente la mia strada professionale. Volevo diventare una vera professionista! La migliore!
Non ho ancora capito se papà aveva davvero deciso di vendere la casa della nonna o se la sua fosse stata solo una provocazione per aiutarlo a salvarla o se, addirittura, fosse un tentativo per salvare il mio destino incerto. Sicuramente salvò sia me sia la casa della nonna.

giovedì 6 marzo 2014

Raccolta 2013 - Ebook in omaggio

Ecco la breve raccolta di racconti e fiabe che ho scritto l'ano scorso. Se lo volete lo potete scaricare gratuitamente qui.

Buona lettura a tutti!



giovedì 6 febbraio 2014

Una passione, un destino

Lucio Moretti aveva sempre sognato di diventare astronomo. Sin da bambino. Quando tutti i suoi amici volevano macchinine e camion, lui aveva chiesto a Babbo Natale un telescopio per guardare le stelle.
Di notte dormiva poco. Si metteva alla finestra e osservava gli astri per ore.
A otto anni conosceva già le costellazioni. Tutte. Le individuava in un batter d'occhi e ne conosceva il nome e, per alcune, conosceva anche la sua leggenda.
E così i suoi studi avevano preso l'ovvia direzione, prima il liceo scientifico e poi la laurea in astrofisica. Neanche dirlo: era sempre stato il primo della classe! Neolaureato ottenne subito un dottorato presso l'Osservatorio di Trieste e vi si chiuse dentro, con la testa in su a guardare il firmamento.
Fu una gioia immensa scoprire una meteora. Grande, anzi gigantesca. Si trovava lontano anni luce dalla Terra, talmente lontana che all'inizio nessun collega l'aveva vista. Lucio aveva notato una strana curvatura nello spazio-tempo e si era intestardito: quella era la prova della presenza di una cometa. Infine riuscì a convincere il suo superiore. Tutti i telescopi furono puntati verso l'enorme astro. Aveva una massa tre volte quella della terra e rappresentava un'infinita fonte di dati e nozioni. Iniziò un lavoro di raccolta dati, che durò mesi.
La cometa fu chiamata Moretti. Il più grande onore in campo astrofisico! Il premio per eccellenza per un vero appassionato!
Quando la cometa deviò il suo percorso, il nostro Lucio con tutto lo staff cercò di individuarne il motivo, dimenticandosi, per un po', di calcolarne la nuova rotta. Fu ancora una volta Lucio a calcolarne la rotta e la sua fantastica scoperta, la sua cometa, divenne, ironia della sorte, il peggiore incubo della Terra.
Lucio aveva sognato sin da bambino di scoprire un astro e di dargli il proprio nome, ma non avrebbe mai immaginato che la sua scoperta avrebbe rappresentato la fine della Terra, diventando l'ultima cosa che ogni essere vivente avrebbe visto prima di morire.

domenica 26 gennaio 2014

Come organizzare la propria biblioteca

Sicuramente gli amanti dei libri si sono fatti spesso questa domanda.
Il sistema più logico ed immediato è quello di organizzare i volumi in ordine alfabetico, di solito per cognome dell'autore. Ma questo metodo vale solo per i romanzi, perché i manuali è meglio suddividerli per tema trattato. Inoltre c'è il problema della raccolte; va bene ordinare per AA.VV. ma forse si corre il rischio di dimenticare dove si è letto il tale racconto del tale scrittore e di non trovarlo più nella propria biblioteca.
Alcuni amano sistemare i propri libri in ordine di grandezza, dal più alto al più basso. Altri, i più maniaci dell'ordine, per colore (ed in effetti è un gran bel impatto visivo). Ma con questi metodi estetici può capitare di riacquistare un volume che si aveva già di cui non ci si ricordava il precedente acquisto. A me è capitato ed è piuttosto seccante, considerato che con quei soldi avrei potuto acquistare altri titoli.
Quando finalmente si è trovata la giusta sistemazione bisogna ricominciare tutto daccapo perché ci sono i nuovi arrivi da inserire.
E che dire quando lo spazio finisce? Comprare altre librerie? Sì, fino a quando c'è spazio e poi? Cambiare casa? A meno di essere Paperon De Paperoni è impensabile e, anche se lo fossimo, un po' troppo faticoso solo per ordinare libri.
In fondo credo che un bibliofilo ami anche questo continuo lavoro di riordino e ricollocamento, ama circondarsi dei suoi libri e averne un po' ovunque e pazienza se agli estranei appare una libreria un po' (forse tanto) disordinata!
E voi, come organizzate la vostra biblioteca?

giovedì 2 gennaio 2014

Nel nuovo anno

Nessun buon proposito per il nuovo anno, per non correre il rischio di rimanere delusa a dicembre per non aver portato a termine i progetti auto-imposti.
Semplicemente la voglia di non lasciarsi trascinare dalla frenesia della quotidianità e di concedere più attenzione alla scrittura e a questo blog, per il quale non ho ancora trovato la giusta direzione. Ho deciso di abbandonare del tutto il vago progetto di cui vi avevo accennato l’anno scorso, forse troppo complesso e attualmente troppo faticoso da realizzarsi.
I punti fermi sono due: adoro leggere e amo scrivere.
Sul fronte della lettura, le idee sono due. La prima è quella di rivedere i post in cui parlo dei libri letti, che fin’ora non avevano proprio le caratteristiche di recensione, dandogli un tono più professionale o, quanto meno, più serio. La seconda è scaturita in questi due giorni, quando mio suocero mi ha regalato un libro come augurio per il nuovo anno. Si tratta di un autore che non conosco, seppure residente nella mia stessa provincia. Appena mi sono rilassata sul divano, accanto alle bimbe che guardavano i loro cartoni animati, ho cominciato a leggere il libro e mi sono lasciata trascinare. Siccome è la seconda esperienza positiva di autori che vivono nel mio stesso territorio, ho deciso che leggerò molto di più scrittori appartenenti alla mia area geografica, cercando di scovarne di altri, magari meno noti.
Per quel che riguarda la scrittura, l’intendimento è sempre lo stesso: la costanza. Voglio portare a termine il romanzo che ho iniziato ormai da troppo tempo. E devo assolutamente scrivere di più anche racconti. Volevo confezionarvi la racconta di quelli  pubblicati qui nel 2013, creando una raccolta in pdf, ma mi sono resa conto solo ora che sono davvero pochissimi, anche aggiungendo le due fiabe. Forse lo farò lo stesso, ma ha più l’aria di un foglietto che non di una raccolta. Certo non sono rimasta senza scrivere del tutto, mi sono dedicata al romanzo, che però invece di essersi allungato si è accorciato ogni volta che lo prendevo in mano: vi lascio immaginare… Se poi considero anche i post sempre più rari in questo blog, non posso di certo essere orgogliosa della mia carriera da scrittrice nell’anno 2013!
Insomma, la fine dell’anno rappresenta per chiunque un resoconto di quello che si è fatto. Per me più di chiunque altro, perché negli ultimi giorni di dicembre compio anche gli anni e vedo che l’età avanza e non riesco a progredire concretamente. Non voglio diventare vecchia e guardarmi indietro piena di rammarico per non aver davvero provato a realizzare il mio sogno di scrittrice.

Tic tac, tic tac, il tempo corre!

sabato 28 dicembre 2013

L’infallibile piano di Aldo Ubaldo

Aldo Ubaldo se ne stava silenzioso nel buio del vicolo ad osservare l’elegante casa, osservando i movimenti dei suoi abitanti. Aveva studiato il suo piano infallibile sin nei minimi particolari. La moglie usciva ogni pomeriggio alle 15.00 per fare shopping con le amiche e non rientrava mai prima della 19.00. Il marito, invece, usciva la mattina presto, verso le 7.00 e rientrava alle 20.00. La cameriera veniva ogni mattina dal lunedì al sabato per quattro ore. Il muro di cinta era facilmente scavalcabile, grazie ad una robusta pianta rampicante, che si trovava sul lato nord-est, dove, tra l’altro, si trovava una finestrella senza inferriata e dalla quale, con il suo fisico asciutto, sarebbe entrato senza problemi. Non lo preoccupava il rumore che avrebbe fatto il vetro che si infrangeva, perché avrebbe avuto tutto il tempo per entrare dentro la villa e farsi trovare con in mano un qualsiasi oggetto di valore. Sì, era questo il piano: farsi trovare con le mani nel sacco. E quella sarebbe stata la soluzione ai suoi problemi o, meglio, quella era la soluzione che aveva trovato dopo che, già perso il lavoro da lungo tempo, gli era arrivata la notifica di sfratto. All’inizio si era disperato, chiedendosi cosa sarebbe stato di sé senza neanche un tetto sulla testa. Poi, vagliata ogni altra ipotesi, aveva realizzato che se veniva arrestato, avrebbe avuto vitto e alloggio gratis, tanto più che era solo e non doveva occuparsi di nessuno e nessuno sarebbe stato danneggiato in alcun modo dal suo arresto. E così aveva deciso di farsi arrestare per furto. Anzi, per tentato furto, perché voleva farsi trovare con le mani nel sacco, senza portare via niente a nessuno. Non era nel suo carattere.
Si issò sul rampicante, non senza qualche difficoltà: l’arbusto era pieno di grosse spine, che gli pizzicavano le mani nude e gli trattenevano i vestiti, rallentandolo nei movimenti. Giunto in cima al muro e non trovando nulla che lo aiutasse nella discesa, si calò il più possibile, aiutandosi con la sola forza delle braccia e si mollò d’un tratto per cadere lungo l’ultimo tratto, ma cadde con il piede destro piegato all’interno del proprio corpo. Trattenne un’imprecazione e, zoppicando, si avvicinò alla finestra. A parte una sporta che aveva piegato e riposto in tasca, non si era portato nulla appresso per non avere ingombri nei movimenti; nei suoi piani aveva previsto un qualche grosso sasso nel giardino, da usare per rompere il vetro della finestra. E invece, in quel giardino finemente curato, non c’era l’ombra di sassi, nemmeno come bordura alle aiuole, e così dovette improvvisare. Si tolse la felpa, l’arrotolò attorno alla mano e sferrò un pugno in direzione della finestra.
«Aio!» Urlò, ma il vetro non si ruppe.
Riprovò, con più forza, e questa volta il vetro si frantumò. La mano gli faceva molto male. Nei film sembra così facile, pensò. Scosse la felpa per far cadere i frammenti di vetro e se la infilò. Ma una scheggia era rimasta impigliata e gli graffiò il volto, facendolo sanguinare. Si asciugò con il dorso della mano e si calò per il varco che si era così dolorosamente aperto. Tutt’intorno era buio e cercò di avanzare a tentoni, alla ricerca di un interruttore. Urtò lo spigolo di un mobile con la gamba. Un altro livido, pensò. Poi con il piede fece rotolare qualcosa di latta e il rumore riecheggiò, quasi amplificato, per tutta la stanza. Trattenne il respiro. Era troppo presto, doveva farsi prendere con qualcosa in mano. Giunse ad una parete e, finalmente un colpo di fortuna, trovò subito l’interruttore. Si trovava in lavanderia. Aprì la porta ed entrò in un lungo corridoio, illuminato da una leggera luce, proveniente da una finestra. Prese il sacco che aveva in tasca e lo aprì. Avrebbe preso la prima cosa di valore che gli fosse capitata a tiro e poi, in qualche modo, avrebbe attirato l’attenzione sulla sua presenza. Le pareti erano piene di quadri, probabilmente di pregio, ma Aldo Ubaldo non ne capiva nulla di pittura e non voleva certo rovinarsi la reputazione per una crosta senza alcun valore.
Preso com’era dalla contemplazione dei soprammobili, non si accorse che il lungo tappeto sotto i suoi piedi aveva una grinza e vi inciampò maldestramente. Cadendo cercò appoggio nel mobiletto lì vicino, ma urtò il vaso di fiori che lo adornava e lo fece cadere con sé. Il vaso si ruppe e il rumore fu enorme.
Accorse il proprietario, già allertato dai primi rumori del ladro inesperto. In mano aveva una pistola.
«Fermo! O sparo!»
Aldo Ubaldo, che si trovava a terra in una posizione innaturale, cercò di sollevarsi e di portare le braccia in alto.
«Fermo ho detto!» Ma nello stesso momento che udì le parole dell’uomo, Aldo Ubaldo sentì anche uno sparo. Il proprietario della villa, nervoso davanti al ladro e temendo una qualche reazione da parte di questi, non aveva di certo preso la mira e forse non era nemmeno consapevole di aver sparato, ma il caso volle che la pallottola colpisse Aldo Ubaldo in pieno petto, uccidendolo sul colpo.
Aldo Ubaldo non finì in prigione, come progettato, ma in qualche modo i suoi problemi erano finiti.
In prigione, invece, finì il proprietario della villa per omicidio colposo, perché nessuno può difendersi con un’arma, nemmeno in casa propria.

martedì 24 dicembre 2013

L'origine delle ghirlande

Tanto tempo fa nella chiesa veniva addobbato un bellissimo albero di Natale. Il boscaiolo tagliava il più grande abete, con i rami più verdi e rigogliosi che c'era nel bosco. Le donne lo addobbavano con caramelle colorate, frutta esotica, cioccolatini golosi. Veniva ad ammirare quell'albero magnifico da ogni parte del mondo. Uomini, donne e bambini. Ma anche animali: cani, gatti, uccellini, mucche e cavalli, giungevano dalla lontana Africa anche elefanti, tigri e scimmie e persino serpenti.
Tutti rimanevano estasiati da quello spettacolo e a tutti era permesso di entrare nella chiesa ad ammirare l'albero addobbato. Già dal primo mattino si formava una lunga coda di curiosi e proseguiva composta incessante fino a sera. Solo ai ragni era negato l'accesso all'albero, le donne li scacciavano fuori con le loro scope: «Sciò, sciò. Andate fuori!»
Allora i poveri ragni decisero di intrufolarsi di notte, passando per una piccola crepa del muro. Ma siccome era buio, per godere della bellezza dell'albero dovettero arrampicarsi sopra e con le loro zampettine veloci lo percorsero in lungo e in largo, dal basso verso l'alto e dall'alto verso il basso, in tutte le direzioni. Anch'essi rimasero affascinati dal bellissimo albero e, finalmente soddisfatti, se ne andarono via.
Ma la mattina con la sua luce svelò una terribile verità: l'albero era tutto ricoperto dalle regnatele lasciate dai ragnetti curiosi. Tutti si arrabbiarono con loro, che si misero a piangere disperati, evocando il perdono: «Volevamo ammirare anche noi l'albero. Non l'abbiamo fatto apposta. Oh! Quanto ci dispiace!»
Il Signore vedendo quella scena si commosse e trasformò le brute ragnatele in filamenti luminosi, color oro e argento. L'albero divenne ancora più bello, luminoso e splendente, grazie alla luce che si rifrangeva in quei filamenti.
E così da quel giorno gli uomini provarono a ricreare quei fili e quella magia, realizzando le ghirlande che ancora oggi adornano i nostri alberi di Natale.


Se vi è piaciuta questa leggenda, vi piacerà anche quella dell'albero di natale.

martedì 19 novembre 2013

SINSILIMINS di Giovanna Nieddu

Questo breve romano è stata una vera sorpresa. Un misto tra racconto, diario intimo e poesia, scritto in modo insolito, ma scivola che è un piacere e ti cattura nelle sue pagine sin da subito.
Si tratta di pennellate di vita che compongono il quadro di un piccolo borgo di montagna, dove ogni breve capitolo sembra un lieve pensiero a sé stante, ma che si lega a quelli successivi per raccontare una vicenda singola, comprensibile solo se legata ad altri piccoli episodi.
Il romanzo è scritto in prima persona (da qui l'idea a volte che si tratti di un diario personale), ma la protagonista non è la mamma che narra la vicenda dal suo punto di vista di genitore (con tutte le preoccupazioni del caso), ma la figlia adolescente, che sta crescendo e si trova a vivere in un mondo che riserva, purtroppo, anche eventi spiacevoli, ma che l'aiuteranno a crescere.

sabato 16 novembre 2013

UN COVO DI VIPERE di Andrea Camilleri


Per me Camilleri è sinonimo di estate, sarà l'uso dl siciliano, lingua di mare ed esotica per me che vivo al nord Italia, sarà che i polizieschi non sono molto impegnativi e si prestano molto bene ad essere letti in riva al mare. E anche questo libro non ha fato eccezione: l'ho letto quando ero in vacanza il mese di luglio.
In questa puntata (tanto per citare anche la serie televisiva, che non sego) il commissario Montalbano si trova a dover risolvere l'omicidio del ragioniere Cosimo Barletta, che si rivelerà uno sciupa-femmine e un ricattatore. Ma Montalbano dovrà trovare due assassini, perché sin dalle prime pagine si scoprirà che l'uomo era stato ucciso due volte: prima il veleno, poi un colpo di pistola.
La particolarità di questo romanzo è che Camilleri sfiora (e accentuo: sfiora) un tema importante, che si rivelerà solo alla fine.


mercoledì 23 ottobre 2013

Un libro per Halloween

Il mercatino dell’usato che si teneva una volta al mese era la scusa per prenderci una giornata lontana dai problemi quotidiani e per ritrovarci da sole a parlare e, a volte, spettegolare. Non mancava mai nessuna all’appuntamento, anche se ci sentivamo al telefono molto spesso e altrettanto spesso ci trovavamo a bere un caffè o a fare shopping un pomeriggio; ma solo quella era l’occasione per ritrovarci sempre tutte insieme, come quando giocavamo da bambine: Sofia, Rossanna, Carolina, Giulia e io. Niente mariti, amanti o figli. E non si trattava di una mattinata di shopping tra amiche, perché solo raramente una di noi acquistava davvero qualcosa. Era una semplice scusa per stare insieme come ai vecchi tempi e per parlare, scherzare, sfogarci, come quando eravamo bambine. Un modo per rinnovare la nostra amicizia tutte insieme.
Quel giorno notai un vecchio libro, che attirò la mia attenzione. Era piuttosto malconcio e sulla copertina che un tempo doveva essere stata rossa era raffigurato una specie di demone, che invece di incutermi quel briciolo di paura che tutti i demoni provocano, anche solo a vederli raffigurati, mi ispirò una specie di simpatia. Mi fermai, arrestando i discorsi delle mie amiche, lo presi in mano e lo sfogliai.
«Ma che schifezza!» Mi apostrofò Giulia.
«Lo trovo carino! A quanto lo vende?»
«Dieci euro.»
«Ma non vorrai mica prenderlo?» Insistette Giulia.
«Ma sarebbe un bel soprammobile per la mia festa di Halloween!»
«In effetti per Halloween è proprio indicato!» Mi sostenne Carolina, con una voce divertita.
«Però con dieci euro ti compri qualcosa di più bello… Non ti sembra un po’ caro per essere un brutto libraccio vecchio?» Commentò Rossanna. «Sono certa che in soffitta ho dei libri vecchi e malconci, se proprio ti servono per addobbare la festa di Halloween.»
«Guardi, glielo posso dare per cinque…» Ci interruppe il venditore.
«Ma dai Rossanna, così macabri non ne hai di sicuro!»
«Ma è così kitch!» Commentò Giulia schifata. «Prendi qualcos’altro, dai!» E cercò di allontanarmi dalla bancarella.
«No, per me è perfetto. Cinque euro, ha detto?» E porsi al signore un banconota da cinque euro, trattenendo il libro con l’altra mano.
«Io non te lo porto. Mi fa senso…» Proseguì Giulia, accennando un muso imbronciato.
La discussione sul libro continuò davanti a una tazza di caffè. Sofia e Carolina lo ritenevano il pezzo macabro per eccellenza, ideale per la mia festa, il punto di attrazione, Rossanna seppure non ammettendolo lo trovava in qualche modo affascinante, visto che lo prese in mano per sfogliarlo, e alla fine concluse che forse, in effetti, in soffitta non avrebbe trovato nulla di così gotico. Solo Giulia continuava a ribadire che era una cosa inguadabile e in qualche modo sembrava temerlo.
Come previsto la festa fu un vero successo. Modestamente le mie feste lo erano sempre: non per nulla le mie amiche mi chiedevano sempre aiuto per feste ed eventi in genere. Il libro, poi, fu un vero successo! Gli avevo riservato un bel posto d’onore sulla tavola centrale, dove avevo raccolto oggetti macabri di ogni tipo, mescolati ad alcolici serviti in ciotole lugubri ed improbabili e a manicaretti raffiguranti dita smozzate, bare, fantasmi, zucche, streghe e ogni classico personaggio della festa di Halloween. Ovviamente non avevo trascurato nemmeno il resto della sala, addobbata a dovere con ragnatele, teschi, pipistrelli e candele. Avevo perfino acceso il caminetto. La taverna si prestava molto bene ad essere addobbata per ogni tipo di occasione. Avevamo fatto molto bene a costruirla, merito di mio marito che l’aveva fortemente voluta per le rimpatriate con gli amici chiassosi. L’atmosfera era perfetta e i liquori sortivano il loro effetto. Tutti sembravano divertirsi. Ad un certo punto il libro iniziò a girare di mano in mano, perché, mi resi conto, anche se un po’ annebbiata dai fumi dell’alcool, che non solo le immagini ivi raffigurate erano perfette per la serata a tema, ma anche le parole scritte in una strana lingua sembravano ricordare un vecchio libro di incantesimi. Fu un vero spasso vedere amici vari atteggiarsi a streghe e stregoni. SoloGiulia non lo prese mai in mano, anche se sembrava comunque divertirsi.
In effetti, la mia fu una festa indimenticabile, ma non per la motivazione che speravo.
Non so se fu colpa del troppo alcool o della soggezione subita dal tema, oppure da entrambe le cose, miste a un po’ di superstizione che ognuno di noi ha in fondo al cuore, ma ad un certo punto sembrò che il libro si fosse impossessato di noi e la stanza mi sembrò diventare gelida e buia. I miei amici cominciarono ad avere un comportamentoeccessivamente lascivo e sul loro volto, al posto del sorriso di chi si diverte, si stampò un ghigno diabolico. Stefano, il marito di Rossanna, mi afferrò per un braccio e mi tirò a sé, assestandomi un violento bacio sulle labbra, lì davanti a lei che non disse niente, ma anzi sembrò quasi approvare. Anche mio marito non si mostrò minimamente infastidito dal comportamenti di Stefano, anche se non lo aveva mai sopportato. Allora mi divincolai e scappai in una angolo. Passando accanto ai miei invitati, mi sembrò quasi volessero trattenermi in quel agglomerato di corpi, che non avevano più niente di umano. La testa mi girava.
Avevo decisamente bevuto troppo.
Ad un tratto mi mancò l’aria e mi accasciai a terra spaventata. Spaventata da quello che stavo vedendo attorno a me, e dalla mancanza di certezza. Avevo le allucinazioni, perché vedevo demoni aggirarsi dovunque. Li distinguevo a mala pena, perché la stanza si faceva sempre più scura e fredda.
Due braccia mi sollevarono e mi sentii abbracciare con calore. Era Giulia.
«Mi sa che ho bevuto troppo…» Mi giustificai imbarazzata, ma la mia amica continuava a guardarmi con occhi preoccupati. Gli altri, invece continuavano a ridere e scherzare, con le loro facce demoniache, senza prestare la minima attenzione al mio malessere, ma anzi godendone.
D’improvviso mi sembrò che Giulia venisse circondata da una luce bianca, che rischiarò tutto intorno, attirando gli sguardi dei miei diabolici amici, che dimostrarono non apprezzare quella novità, lanciando in coro un urlo sovrumano.
Giulia corse da Sofia, che stava leggendo rapita un passo del libro e glielo strappò dalle mani, scaraventandolo nel caminetto acceso. Sofia cercò di afferrarlo, ma si scottò la mano e si ritrasse emettendo un suono sibillino. Il volume prese subito fuoco e in pochi secondi si polverizzò.
Giulia mi guardò negli occhi con sguardo rassicurante. Mi accasciai su un divano libero e mi addormentai.
Quando mi svegliai, la festa stava tranquillamente proseguendo. Accanto a me c’era mio marito.
«Tesoro. Ti eri addormentata… Hai bevuto un po’ troppo stasera… Lo sai che non sopporti l’alcool!» Disse con un tono un po’ preoccupato. «Anche se la tua grappetta alla zucca non è niente male!» Proseguì con tono scherzo, porgendomi una tazza di caffè nero.
Solo allora mi resi conto che accanto a me c’era anche Giulia, che mi teneva per mano.
«Come ti senti?»
«Meglio grazie. Ha ragione Daniele, ho davvero bevuto troppo. Ho fatto un terribile incubo…»
«Sst!» Mi zittì Giulia, appoggiandomi delicatamente la mano sulle labbra. «Certe cose è meglio dimenticarle.»

Mi guardai in giro. Il libro sembrava sparito. Non si trovava né sul tavolo né in qualche mano. Sicuramente lo aveva preso qualcuno, per portarselo a casa, ma non indagai più a fondo: l’altra ipotesi era davvero peggiore. Ma in fondo al mio cuore sapevo di avere accanto a me il mio angelo custode.