Comodamente
seduto sulla vecchia poltrona ereditata da suo nonno, Giuseppe guarda annoiato
la televisione. Sua moglie è in cucina a lavare i piatti del loro frugale
pranzo. Con gli anni nemmeno il cibo è più un piacere. I programmi televisivi
non erano un gran ché; aveva girato per un po’ in vai canali e poi aveva
scovato un documentario sugli aborigeni africani, un po’ noioso, ma migliore di
tutto quello che davano negli altri canali. Arriva la pubblicità e poi una
breve edizione del telegiornale.
<<Cara,
vieni a vedere!>> Chiama Maria, sua moglie, senza nemmeno girare la testa
verso la porta della cucina. <<Stanno devastando Roma! I soliti teppisti
intrufolati nei cortei…>>
La moglie
si avvicina e, asciugandosi le mani nel canovaccio, si siede sul bracciolo
della poltrona, accanto al marito. In silenzio ascoltano il notiziario.
Breve
annuncio e guardano le immagini: giovanotti vestiti di nero, incappucciati e
armati di spranghe e san pietrini che
sfasciano vetrine e macchine.
Maria si
alza e ritornando verso la cucina borbottando: <<Dove mai andremo a
finire. Non c’è più rispetto per niente e nessuno.>>
Giuseppe,
senza muoversi, decide di seguire la vicenda e gira canale in cerca di qualche
approfondimento, che trova facilmente.
Le immagini
mostrate sono un susseguirsi di atti di vandalismo: vetrine sfasciate,
cassonetti dell’immondizia rovesciati per strada, teppisti incappucciati che
aggrediscono le forze dell’ordine, macchine in fiamme.
Giuseppe si
chiede chi siano i genitori di quei ragazzi e cosa abbiano loro insegnato.
La
televisione continua a sparare immagini. Una macchina incendiata, un furgone
della polizia preso di mira, la vetrina di un gioielliere fatta a pezzi da due
ragazzi, un primo piano di un giovane dal volto coperto dalla sciarpa. Tutte
immagini veloci, che scorrono sullo schermo una appresso all’altra.
Un dubbio
si insinua nella vecchia mente di Giuseppe, ma subito lo scaccia via. Non ci
vuole nemmeno pensare. Si alza lentamente dalla poltrona; lo diceva sempre suo
padre: è brutto invecchiare, cominci a sentire dolori ovunque e qualunque
movimento diventa una fatica. Afferra il cellulare e gli occhiali da lettura e
si risiede in poltrona.
Intanto
Maria lo ha raggiunto in salotto e, mentre sferruzza una maglia per la figlia,
guarda distrattamente anche lei il televisore. Purtroppo scene di quel tipo le
ha già viste anche troppo spesso.
<<Chi
chiami?>> Chiede al marito.
<<Filippo.>>
Risponde in tono serio.
<<Non
penserai…>> Azzarda la donna.
<<No,
scherzi! Sicuramente sarà a testa bassa sui libri. Lo conosci.>> E dopo
una breve pausa: <<Ha il telefonino spento. Te l’avevo detto che sta
studiando.>>
I due
coniugi trascorrono il pomeriggio passando da un telegiornale all’altro,
commentando di tanto in tanto la stupidità di quei giovanotti, il cui
comportamento vanifica le buone intenzioni di tutta la manifestazione: chi
presta attenzione ai messaggi e alle richieste di tutti quei ragazzi che sfilano
per Roma, quando ci sono dei debosciati che terrorizzano la città?
Per cena un
veloce piatto di minestra e Giuseppe si risiede davanti alla televisione.
Finalmente tutto è tornato tranquillo. I violenti sono stati allontanati e non
rimane che contare i danni. L’evento, però, continua a rimbalzare da una
trasmissione all’altra. I normali programmi televisivi lasciano il posto ad
edizioni straordinarie di telegiornali e a trasmissioni di approfondimento. Le
immagini raccolte durante la terribile giornata sono state selezionate con cura
e vengono mostrate con calma ai telespettatori e commentate con un’attenzione
morbosa.
Giuseppe
sussulta sulla poltrona: il fermo immagine mostra un ragazzo dai folti capelli
biondi, piuttosto lunghi sulle spalle, il naso e la bocca coperti da una
sciarpa nera, intento a lanciare un san pietrino
contro gli agenti. Chiama la moglie, che si sta preparando per la notte,
urlandone il nome. L’anziana si precipita in salotto. Quando vede l’immagine in
televisione si abbandona sul divano, senza forze: l’ultimo sforzo di chi si
sente mancare e ha paura di cadere. Quegli occhi li avrebbe riconosciuti tra
mille: è Filippo.
I due
coniugi non riescono a parlarsi, impietriti dalla scoperta. Dopo
un’interminabile manciata di secondi Giuseppe afferra il cellulare e, con
l’aiuto degli inseparabili occhiali da lettura, cerca il numero del figlio
nella rubrica. L’apparecchio squilla una volta sola, Filipppo risponde:
<<Papà…>> con voce spaventata.
<<Cos’hai
combinato disgraziato?>> Si limita a dire il padre, infuriato e
preoccupato allo stesso tempo.
<<Sono
stato alla manifestazione… ma non ho fatto nulla…>>
<<Non
dire cazzate!>> Sbotta l’uomo interrompendo il figlio. <<Sei su
tutti i telegiornali! Hai lanciato pietre contro i poliziotti! Tua madre sta
piangendo…>>
Un attimo
di silenzio. Giuseppe ascolta il respiro del figlio dall’altra parte.
<<Devi
costituirti.>> Aggiunge con il suo caratteristico tono autoritario, che
Filippo conosce sin troppo bene.
<<Non
ci penso nemmeno.>> Risponde arrogante il ragazzo.
<<Se
non ci vai da solo, lo faccio io.>> Sbotta il padre. <<Tua madre ed
io non ti abbiamo di certo insegnato…>>
<<Non
puoi rovinarmi il futuro…>> Lo interrompe il figlio sicuro di sé.
Giuseppe
rimane un attimo senza parole e Filippo prosegue: <<E poi se mi prendono,
dovrei risarcire i danni… anche di quello che non sono stati presi…>>
<<Zitto!
Tu ora ti costituisci. Io prendo il primo treno per Roma e poi tu torni a casa
con me!>>
<<Ma
papà, ho gli esami da preparare e poi non ho fatto niente di male…>>
<<Giovanotto
hai chiuso. Ti avevamo mandato a Roma per studiare, non per devastare la città.
Ora torni a casa e quando questa faccenda è sistemata vai a lavorare. Ti
insegno io a vivere!>> Urla ancora Giuseppe.
Maria sul
divano ascolta in lacrime il marito urlare al telefono. Non ha il coraggio di
intervenire. Non riesce nemmeno a pensare. In quella fotografia non riconosce
il proprio figlio, ma solo un ragazzaccio che gli assomiglia fisicamente. Lei
non ha generato un vandalo.
<<Io
non ti do più un soldo!>> Continua a sbraitare l’uomo al telefono.
<<Hai
l’obbligo di mantenermi.>> Rispose altero il figlio al telefono. A Roma
era andato a studiare e lo aveva fatto. Si era iscritto a Giurisprudenza e i
suoi voti erano più che discreti. Ambiva a diventare avvocato.
<<Ma
io ti mantengo,>> rispose sarcastico il vecchio, <<a modo mio: un
tetto sopra la testa, qui a casa, e un piatto di minestra; per il resto ti
arrangi!>>
<<Devi
mantenermi secondo le mi inclinazioni… lo dice la Legge!>>
<<Parli
di legge proprio tu: un delinquente che distrugge città… Dovevi fare l’avvocato
e invece finirai in prigione…>> Quasi piagnucola affranto l’uomo al
telefono.
<<Tsz!
Devono provare che sono stato io e che ho distrutto qualcosa. Sai quanto ti
costerò in tribunale?>> Puntualizza Filippo, fiero delle sue conoscenze.
<<Io
non capisco cosa ti ha preso,>> cambia tono e tecnica il padre,
<<tua madre ed io ti abbiamo insegnato i valori del vivere civile… Io non
ti riconosco!>>
<<Papà,
svegliati! Con i valori non si va da nessuna parte. Non vorrai un figlio
fallito… Io punto in alto e voglio diventare qualcuno. Chissà, potrei farmi
intervistare in qualche talk-show…>>
Un attimo
di silenzio e Filippo riattacca senza nemmeno salutare il padre.