Nel
2008 ho pubblicato un romanzo breve (“Il valore di un libro”) con una casa
editrice che mi ha chiesto l’acquisto, con sconto, di un certo numero di copie.
Allora non sapevo che questo significa che dovevo contribuire alla pubblicazione,
ritenendo normale questa richiesta. Ovviamente sbagliando si impara e si cresce
non solo fisicamente. I libri che ho acquistato li ho rivenduti tutti e ne ho
acquistati altri da rivendere. In tutto ho venduto circa 130 volumi, complice
la notorietà che si gode in una piccola comunità e un marito per niente timido.
La casa editrice è stata presente solo in fase di stampa, poi completamente
latitante. Le vendite sono state solo ed esclusivamente mie.
Questa
mia esperienza non è stata del tutto negativa, considerato che, uno, ho
recuperato i soldi investiti e ci ho guadagnato alcuni euro in aggiunta, due,
il mio libro è stato comunque letto da più di cento persone (ad essere
ottimista, posso anche pensare che alcuni volumi siano passati di mano, raggiungendo
lettori che non lo avevano comprato direttamente) e alcuni di loro hanno avuto
parole di apprezzamento. Ancora oggi ci sono persone che mi chiedono se scrivo
ancora e a risposta affermativa mi chiedono come mai non pubblico più.
Ed
ecco la nota dolente.
Per
lo più scrivo racconti che pubblico sul web e il mio nuovo romanzo procede
lentamente. Ho raccolto un po’ di racconti da inviare ad alcuni editori e,
quando ho realizzato che non mi si filava nessuno, li ho trasformati in e-book
da diffondere gratuitamente. Oggi, grazie alla sfida di Daniele Imperi (con il post Scrivere non è solo questione di volontà), mi sono soffermata un attimo a pensare come mai scrivo così poco.
Tralasciando il problema di tempo che attanaglia una mamma di due bambine
piccole (quatto anni e diciannove mesi) con un lavoro a tempo pieno, una casa e
le solite problematiche quotidiane, ho finalmente razionalizzato che non ho più
lo sprint iniziale proprio a causa della mia prima pubblicazione.
Mi
spiego meglio.
Frequentando
piattaforme su internet ho riscontrato un certo snobismo da parte di colleghi
scrittori e, peggio ancora, da parte di editori: uno scrittore che pubblica
contribuendo alla stampa scrive per forza male ed è uno sfigato che pensa solo
a pubblicare per ego e smania di protagonismo, interessato solo a vedere il proprio
nome stampato su una copertina. Se proprio uno vuole pubblicare, meglio l’auto-pubblicazione:
puoi sempre spacciarti per un rivoluzionario, uno che vuole contrastare il
sistema dell’attuale editoria, che pubblica solo nomi noti o raccomandati.
Mi
rendo conto solo ora che questo tipo di critiche mi ha raggiunto e
inconsciamente ha sortito il suo effetto…
Ma
apriamo gli occhi e finiamola di essere ipocriti! Qualsiasi scrittore scrive
per essere letto e per darlo deve pubblicare. E non c’è differenza tra lo
sfigato che pubblica a pagamento e il rivoluzionario che si autopubblica o chi
è pubblicato da un grosso editore: tutti vogliono essere pubblicati. E non
giustifichiamoci con la qualità: quanta mediocrità è stata pubblicata da grandi
editori? Insomma, non scriverò robaccia peggio di certi volumetti a firma di
calciatori e subrettine!
E
allora mano alla penna: riprenderò a scrivere costantemente il mio romanzo,
cercando di farlo nel migliore dei modi, studiando, documentandomi e leggendo
parecchio. A trovare un editore che voglia investire su di me ci penserò dopo,
quando avrò un testo decente da sottoporre all’attenzione di qualcuno, oppure
penserò ad un’alta strada. L’unica cosa certa è che
amo scrivere e voglio farlo il meglio possibile, perché il mio nome sia
collegato ad una certa qualità, indipendentemente dalla forma editale che
scelgo.