sabato 28 ottobre 2017

Una sola notte

Un’antica leggenda narra che la notte tra il 31 ottobre e il 1° novembre i morti possano tornare dai vivi, parlare con loro e passare insieme un po’ di tempo. Questa speranza era stata per Alba l’unico spiraglio di vita, dopo la morte di Francesco. Aveva atteso quella notte per mesi e ora finalmente avrebbe potuto rivedere il suo amore; chissà, magari avrebbe anche potuto riabbracciarlo.
Durante il giorno aveva pulito tutta casa, con particolare attenzione al salotto, dove si accingeva ad attendere la sua venuta. Accese le candele profumate sul tavolino basso e si accomodò sul divano rosso con le gambe accucciate verso il corpo. Si era avvolta attorno il plaid bianco, quasi fosse un abbraccio sostitutivo di Francesco. Accese lo stereo e lasciò che si diffuse una dolce melodia nella stanza. Con il cuore che ad ogni minuto sobbalzava in trepida attesa, sfogliava una rivista di moda, cercando di concentrarsi sui nuovi trend di stagione. Ma la mente vagava nel ricordo di Francesco e del tempo che avevano passato assieme. Il primo incontro, con quell’uomo bellissimo ma insolente, in fila per giocare al lotto. Si erano poi incontrati diverse volte in ricevitoria e l’amicizia a poco a poco era nata per poi trasformarsi in passione. Ripensò alle lunghe chiacchierate seduti davanti al caminetto di casa sua a parlare svogliatamente di temi scottanti come la politica, le tragedie nel mondo e, in modo più coinvolto, di giocate al lotto e di eventuali funerali che, di tanto in tanto, irrompevano nella loro esistenza. Ogni volta che moriva qualcuno che conoscevano, Francesco diceva, a seconda dei casi: “un genitore non dovrebbe mai sopravvivere ai propri figli” o “se muoio io per primo, ti porto in sogno i numeri del lotto”. Fin’ora non lo aveva mai fatto. Francesco era terrorizzato dalle malattie e, tragicamente, quella lo aveva colpito e portato via. Ripensò a quegli ultimi giorni di sofferenza: in pochi giorni lo aveva consumato e portato via. Ricacciò indietro le lacrime: quello non era un giorno triste, ma di speranza. Guardò l’orologio sopra il televisore spento: già mezzanotte, pensò. Ripose la rivista sopra il tavolino, spense lo stereo e accese la televisione. Girò i canali uno per uno alla ricerca di qualche trasmissione interessante, che le permettesse di passare il resto dell’attesa vigile, ma spensierata. Si soffermò un po’ di tempo a guardare un programma di anticipazioni cinematografiche e poi ricominciò a vagare tra i vari canali. Il tempo ora le sembra interminabile. Non sentiva più nessun rumore, nemmeno dalla strada. Si distese dolcemente appoggiando la testa sul cuscino. L’orologio indicava l’una meno un quarto di notte. Decise di guardare una sit-com vecchissima, che passavano periodicamente da anni in televisione. L’una e mezza. Ora sentiva freddo e decise di aggiungere al plaid un’altra coperta, per scaldarsi un po’. Una volta creato un nido caldo non provò nemmeno a cambiare canale in televisione per non dover allungare il braccio verso il telecomando. L’ultima volta che guardò l’orologio erano le due e sette minuti e Francesco non si era ancora fatto vedere. Nemmeno se ne rese conto, ma si addormentò.
Si svegliò solo quattro ore dopo, quando la luce entrava accecante dalla finestra: la sera prima si era dimenticata di chiudere le tapparelle. Smarrita si mise seduta. Quanto era stata stupida a credere ad una simile sciocchezza: è ovvio che i morti non ritornano! In cuor suo lo aveva sempre saputo che era solo una diceria per babbei, ma ci aveva voluto credere. Si era resa improvvisamente conto di essere stata un povera illusa, nemmeno avesse avuto dodici anni. Piano si alzò dal divano; le facevano male tutte le ossa. Se non fosse stata così sciocca e cieca, avrebbe almeno dormito nel suo letto. Si diresse lentamente verso la porta del corridoio, con il plaid ancora sulle spalle, ma tornò sui suoi passi. Sul tavolino c’era qualcosa che la sera prima non c’era: una ricevuta di giocata del lotto. Afferrò il foglietto arancione, lo osservò bene e scoppiò a piangere.

giovedì 19 ottobre 2017

Progetti incompiuti

Stavo riordinando un po' di file nel computer e mi sono resa conto di avere tanti progetti letterari incompiuti. Alcuni dei quali mi hanno portato via anche un bel po' di tempo ed energia; uno in particolare ha coinvolto anche questo blog per un certo periodo: "Un motivo per leggere", che doveva diventare poi un libricino divertente per invogliare a leggere.
Tanti progetti che poi si sono fermati, persi nel nulla, e si sono allontanati dalla mia mente.
Eppure prima di cominciare a scrivere ci rifletto molto. Alcune idee mi girano in testa per giorni e giorni, prima di rendermi conto che proprio non valgono la pena di consumare carta e penna o memoria nel mio hard disk. Quindi quello che comincia a prendere forma in parole scritte ha già superato una prima selezione. Ma allora, perché in così tanti non proseguono e non arrivano alla fine?
Non è mancanza di tempo (che poi, ne ho davvero così poco?) o eccesso di idee, per cui una spodesta l'altra tra le mie priorità, né sono cose così ambiziose che non riesco a realizzare perché si aggrovigliano su sé stesse.
Sono proprio progetti che non avranno un futuro perché banali e sempliciotti, privi di alcun potenziale.
Non credo, comunque, li cancellerò mai dal mio computer. Rimarranno lì a ricordarmi che qualche volta ci provo, che indipendentemente dal risultato ho osato, che comunque scrivere rimane sempre una passione, anche se poi non mi porta da nessuna parte.
Anche a voi succede? Avete anche voi progetti incompiuti? E vi siete mai chiesti perché non li avete portati a termine?

venerdì 13 ottobre 2017

Che cosa scrivi?

A questa domanda sobbalzo sempre. Rispondere che scrivo narrativa è riduttivo.
Scrivo racconti e romanzi (brevi, almeno fin’ora). Nel mio caso, questi due tipi di testo più che per la lunghezza si distinguono per il genere.
Nei racconti voglio mostrare una situazione, descrivere un momento, ma voglio un finale a sorpresa. Alla fine ci dev’essere un elemento nuovo, estraneo e imprevedibile che ti fa dire “accidenti!”.
Nei romanzi, invece, parto da un evento o da una leggenda che mi ha in qualche modo colpito e mi chiedo: ma come sarà andata?
Per esempio in 1976 – L’urlo dell’Orcolàt, sono partita del terremoto che realmente avvenuto in Friuli nel 1976 e mi sono immaginata, oltre alla tragedia e al dolore già ampliamente descritti dai giornali, le conseguenza che avrebbe portato nella vita di tutti i giorni a una giovane donna sopravvissuta. Mentre, nel romanzo che ho da poco finito di scrivere, parto dalla leggenda che vorrebbe che la fabbrica di orologi F.lli Solari (famosa nel mondo per aver inventato l’orologio a palette che si trova in tutte le stazioni ferroviarie e gli aeroporti) sia stata fondata a Pesariis (Val Pesarina) da un pirata genovese. Vi siete incuriositi, vero? Anch’io, così ho deciso di inventarmi tutto quello che nessuno sa e di scriverci un romanzo.
Che cosa scrivo? Quello che non trovo in altri libri, le risposte alle mie domande.