sabato 28 dicembre 2013

L’infallibile piano di Aldo Ubaldo

Aldo Ubaldo se ne stava silenzioso nel buio del vicolo ad osservare l’elegante casa, osservando i movimenti dei suoi abitanti. Aveva studiato il suo piano infallibile sin nei minimi particolari. La moglie usciva ogni pomeriggio alle 15.00 per fare shopping con le amiche e non rientrava mai prima della 19.00. Il marito, invece, usciva la mattina presto, verso le 7.00 e rientrava alle 20.00. La cameriera veniva ogni mattina dal lunedì al sabato per quattro ore. Il muro di cinta era facilmente scavalcabile, grazie ad una robusta pianta rampicante, che si trovava sul lato nord-est, dove, tra l’altro, si trovava una finestrella senza inferriata e dalla quale, con il suo fisico asciutto, sarebbe entrato senza problemi. Non lo preoccupava il rumore che avrebbe fatto il vetro che si infrangeva, perché avrebbe avuto tutto il tempo per entrare dentro la villa e farsi trovare con in mano un qualsiasi oggetto di valore. Sì, era questo il piano: farsi trovare con le mani nel sacco. E quella sarebbe stata la soluzione ai suoi problemi o, meglio, quella era la soluzione che aveva trovato dopo che, già perso il lavoro da lungo tempo, gli era arrivata la notifica di sfratto. All’inizio si era disperato, chiedendosi cosa sarebbe stato di sé senza neanche un tetto sulla testa. Poi, vagliata ogni altra ipotesi, aveva realizzato che se veniva arrestato, avrebbe avuto vitto e alloggio gratis, tanto più che era solo e non doveva occuparsi di nessuno e nessuno sarebbe stato danneggiato in alcun modo dal suo arresto. E così aveva deciso di farsi arrestare per furto. Anzi, per tentato furto, perché voleva farsi trovare con le mani nel sacco, senza portare via niente a nessuno. Non era nel suo carattere.
Si issò sul rampicante, non senza qualche difficoltà: l’arbusto era pieno di grosse spine, che gli pizzicavano le mani nude e gli trattenevano i vestiti, rallentandolo nei movimenti. Giunto in cima al muro e non trovando nulla che lo aiutasse nella discesa, si calò il più possibile, aiutandosi con la sola forza delle braccia e si mollò d’un tratto per cadere lungo l’ultimo tratto, ma cadde con il piede destro piegato all’interno del proprio corpo. Trattenne un’imprecazione e, zoppicando, si avvicinò alla finestra. A parte una sporta che aveva piegato e riposto in tasca, non si era portato nulla appresso per non avere ingombri nei movimenti; nei suoi piani aveva previsto un qualche grosso sasso nel giardino, da usare per rompere il vetro della finestra. E invece, in quel giardino finemente curato, non c’era l’ombra di sassi, nemmeno come bordura alle aiuole, e così dovette improvvisare. Si tolse la felpa, l’arrotolò attorno alla mano e sferrò un pugno in direzione della finestra.
«Aio!» Urlò, ma il vetro non si ruppe.
Riprovò, con più forza, e questa volta il vetro si frantumò. La mano gli faceva molto male. Nei film sembra così facile, pensò. Scosse la felpa per far cadere i frammenti di vetro e se la infilò. Ma una scheggia era rimasta impigliata e gli graffiò il volto, facendolo sanguinare. Si asciugò con il dorso della mano e si calò per il varco che si era così dolorosamente aperto. Tutt’intorno era buio e cercò di avanzare a tentoni, alla ricerca di un interruttore. Urtò lo spigolo di un mobile con la gamba. Un altro livido, pensò. Poi con il piede fece rotolare qualcosa di latta e il rumore riecheggiò, quasi amplificato, per tutta la stanza. Trattenne il respiro. Era troppo presto, doveva farsi prendere con qualcosa in mano. Giunse ad una parete e, finalmente un colpo di fortuna, trovò subito l’interruttore. Si trovava in lavanderia. Aprì la porta ed entrò in un lungo corridoio, illuminato da una leggera luce, proveniente da una finestra. Prese il sacco che aveva in tasca e lo aprì. Avrebbe preso la prima cosa di valore che gli fosse capitata a tiro e poi, in qualche modo, avrebbe attirato l’attenzione sulla sua presenza. Le pareti erano piene di quadri, probabilmente di pregio, ma Aldo Ubaldo non ne capiva nulla di pittura e non voleva certo rovinarsi la reputazione per una crosta senza alcun valore.
Preso com’era dalla contemplazione dei soprammobili, non si accorse che il lungo tappeto sotto i suoi piedi aveva una grinza e vi inciampò maldestramente. Cadendo cercò appoggio nel mobiletto lì vicino, ma urtò il vaso di fiori che lo adornava e lo fece cadere con sé. Il vaso si ruppe e il rumore fu enorme.
Accorse il proprietario, già allertato dai primi rumori del ladro inesperto. In mano aveva una pistola.
«Fermo! O sparo!»
Aldo Ubaldo, che si trovava a terra in una posizione innaturale, cercò di sollevarsi e di portare le braccia in alto.
«Fermo ho detto!» Ma nello stesso momento che udì le parole dell’uomo, Aldo Ubaldo sentì anche uno sparo. Il proprietario della villa, nervoso davanti al ladro e temendo una qualche reazione da parte di questi, non aveva di certo preso la mira e forse non era nemmeno consapevole di aver sparato, ma il caso volle che la pallottola colpisse Aldo Ubaldo in pieno petto, uccidendolo sul colpo.
Aldo Ubaldo non finì in prigione, come progettato, ma in qualche modo i suoi problemi erano finiti.
In prigione, invece, finì il proprietario della villa per omicidio colposo, perché nessuno può difendersi con un’arma, nemmeno in casa propria.

martedì 24 dicembre 2013

L'origine delle ghirlande

Tanto tempo fa nella chiesa veniva addobbato un bellissimo albero di Natale. Il boscaiolo tagliava il più grande abete, con i rami più verdi e rigogliosi che c'era nel bosco. Le donne lo addobbavano con caramelle colorate, frutta esotica, cioccolatini golosi. Veniva ad ammirare quell'albero magnifico da ogni parte del mondo. Uomini, donne e bambini. Ma anche animali: cani, gatti, uccellini, mucche e cavalli, giungevano dalla lontana Africa anche elefanti, tigri e scimmie e persino serpenti.
Tutti rimanevano estasiati da quello spettacolo e a tutti era permesso di entrare nella chiesa ad ammirare l'albero addobbato. Già dal primo mattino si formava una lunga coda di curiosi e proseguiva composta incessante fino a sera. Solo ai ragni era negato l'accesso all'albero, le donne li scacciavano fuori con le loro scope: «Sciò, sciò. Andate fuori!»
Allora i poveri ragni decisero di intrufolarsi di notte, passando per una piccola crepa del muro. Ma siccome era buio, per godere della bellezza dell'albero dovettero arrampicarsi sopra e con le loro zampettine veloci lo percorsero in lungo e in largo, dal basso verso l'alto e dall'alto verso il basso, in tutte le direzioni. Anch'essi rimasero affascinati dal bellissimo albero e, finalmente soddisfatti, se ne andarono via.
Ma la mattina con la sua luce svelò una terribile verità: l'albero era tutto ricoperto dalle regnatele lasciate dai ragnetti curiosi. Tutti si arrabbiarono con loro, che si misero a piangere disperati, evocando il perdono: «Volevamo ammirare anche noi l'albero. Non l'abbiamo fatto apposta. Oh! Quanto ci dispiace!»
Il Signore vedendo quella scena si commosse e trasformò le brute ragnatele in filamenti luminosi, color oro e argento. L'albero divenne ancora più bello, luminoso e splendente, grazie alla luce che si rifrangeva in quei filamenti.
E così da quel giorno gli uomini provarono a ricreare quei fili e quella magia, realizzando le ghirlande che ancora oggi adornano i nostri alberi di Natale.


Se vi è piaciuta questa leggenda, vi piacerà anche quella dell'albero di natale.