venerdì 31 ottobre 2014

La torta di zucca

Le magri mani grinzose toccavano e soppesavano tutte le zucche del bancone.
«Signo’. Le mie zucche sono le migliori di tutto il mercato.»
Noemi cercava una zucca soda e polposa, ma non troppo grande, perché doveva trasportarla a casa a piedi, aiutata solo dal carrettino della spesa, che le aveva regolato la figlia il Natale precedente.
La meticolosa selezione la portò ad individuare la zucca perfetta. Per la sua forma tonda, senza deformazioni ed il colore arancio vivo e uniforme sembrava quasi finta. Entrava giusto giusto nell’apertura del carretto.
Soddisfatta, se ne tornò a casa con passo lento. Avrebbe fatto una bella torta di Halloween per i suoi nipotini e, visto che era una zucca così bella, invece di tagliarla a pezzi, l’avrebbe svuotata senza rovinarla e incisa con la faccia di Jack O’Lantern.
Quasi fosse un rito, posò con delicatezza l’ortaggio sul piano lavoro della cucina, lo pulì con un panno umido e preparò due coltelli affusolati, uno grande e uno un po’ più piccolo, e una ciotola di vetro.
Si apprestava a sferrare la prima coltellata, quando udì una voce gutturale: «Cos’hai intenzione di fare?»
Il battito del cuore accelerò.
«C’è qualcuno?»
Serrando il coltello in mano, raggiunse il soggiorno con il passo più spedito che le sue stanche gambe le consentissero.
«Marta sei tu?»
Non c’era nessuno. La casa era silenziosa e non sembrava che si fosse intrufolato nessuno. Pensò di esserselo immaginato, ma per sicurezza controllò che la porta d’ingresso fosse chiusa a chiave.
Ritornò in cucina per riaffrontare la zucca.
Stava per affondare il coltello, quando sentì di nuovo la voce chiederle: «Non vorrai mica farlo?»
Il cuore le saltò in gola e lasciò cadere il coltello.
«Chi sei?»
«Io!» Tuonò la voce, rimbombando per tutta la stanza.
«C-chi?» Balbettò la donna, indietreggiando di pochi passi.
«Lo sai bene! Mi volevi fare a pezzi!»
Per un attimo pensò di essere diventata matta. Forse tutti i film di Halloween che aveva visto in quei giorni con i nipoti l’avevano suggestionata.
Prima di riprendere il suo lavoro, decise che si sarebbe riposata un pochino sul divano. Raccolse il coltello e lo posò accanto all’ortaggio. Ma ritrasse di scatto la mano: le sembrava che la zucca avesse davvero una faccia, con due occhi penetranti che la fissavano arrabbiati. Il cuore le riprese a martellare nel petto. Indietreggiò terrorizzata fino al lavabo e, con la coda dell’occhio, le sembrò di scorgere qualcuno alla finestra. Si girò per chiedere aiuto, ma sobbalzò. Sul davanzale c’era un’altra zucca, con occhi infuocati e bocca arcigna. E anche nella finestra di fianco c’era una zucca dalla faccia crudele. Era circondata.
Il cuore martellante nel petto lasciò il posto a un dolore straziante, accompagnato da brividi freddi e un malore diffuso, nonché dalla consapevolezza del sopraggiungere della morte.
Noemi si accasciò al suolo, circondata dal ghigno delle zucche. Erano loro che la stavano uccidendo.

La trovò esanime la figlia Marta. Stesa sul pavimento della cucina. Sul piano di lavoro c’erano sue coltelli e una ciotola di vetro vuota.
Marta non scoprì mai cosa volesse cucinare sua madre prima che la colpisse la morte.
In cucina non c’era traccia della zucca che Noemi aveva acquistato al mercato.

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venerdì 3 ottobre 2014

In otto con cane

Per qualcuno la voglia di avventura è innata e dura per tutta la vita. Per qualcun altro, invece, nasce e scema con l’adolescenza. Era questo lo spirito che animava questi otto ragazzi, che si erano uniti per un caso fortuito e che normalmente si frequentavano di rado. C’era Enrico, che aveva messo gli occhi su Monica. Così il primo si era accompagnato al cugino della fanciulla, Patrik, e la ragazza si era fatta scortare dalla sua amica del cuore, Anna. Poi c’era la coppia di innamoratini, Sofia e Alberto, ed infine  Agnese, amica di Sofia, e Mario, figlio del proprietario della casera. L’unica cosa che avevano in comune era la voglia si avventura e di esperienze nuove tipiche di quella età. Avevano progettato la gita in montagna nei minimi particolari, con l’occhio adolescenziale, che presta molta più attenzione ad aspetti goliardici e meno alle cose pratiche e, per di più, con l’atteggiamento “da grandi”, che porta a snobbare i consigli degli adulti più esperti e pratici nelle cose di mondo.
Destinazione Casera Ruin, al di sopra degli abitati della Val Pesarina, a metà strada tra Prato e Truia.
Previdenti, si erano portati appresso il cane di Enrico, come guardia del corpo, visto che dovevano passare una notte isolati tra rocce e boschi. Non si erano nemmeno dimenticati delle provviste per la cena e la colazione del mattino dopo, comprese pentola per la pasta, pentolino per riscaldare il sugo e moka per il caffè. Enrico e Alberto si erano portati dietro anche la tenda e un paio di sacco-a-pelo, con la speranza di riuscire ad appartarsi con le fanciulle.
Mario era la guida della sgangherata carovana, assistito da Patrik, che spesso faceva gite tra le Alpi Pesarine con il padre. E come vere guide esperte sbagliarono strada. Per riprendere la via dovettero attraversare un piccolo rio impervio. Le scarpe da ginnastica comode per le camminate non lo sono di certo per il bagnato e per questo tipo di avventure fuori sentiero e così, chi scivolando, chi proprio non abituato a questo tipo di escursioni, i nostri giovani giunsero alla loro meta con i piedi completamente zuppi. Ovviamente nessuno aveva previsto una possibilità del genere e nessuno aveva dato retta alla mamma e al suo consiglio “metti nello zaino un paio di calzini di riserva, non si sa mai”.
Ma le disavventure erano solo all’inizio, perché giunti allo stavolo di Mario, la chiave di riserva, che si trovava nascosta proprio sotto il masso accanto alla catasta di legna, non si trovava. I ragazzi non si scoraggiarono, montarono le due piccole tende, che fortunatamente Enrico e Alberto avevano portato, e accesero il fuoco con le legna accatastate dal papà di Mario.
La notte era già vicina e la temperatura cominciava ad abbassarsi. Qualche stomaco cominciava a brontolare, ma l’acqua per la pasta non si decideva a bollire e così, di comune accordo, su proposta di Sofia, si buttò un chilo di pasta nell’acqua tiepida: «Ci vorrà un po’ più di tempo, ma alla fine si cuocerà».
Risultato: la pasta era immangiabile e nemmeno il cane la toccò, preferendo accucciarsi accanto alla tenda con un guaito affranto.
La serata continuò attorno al fuoco tra canti stonati, storie di fantasmi e grosse risate scherzose. Infine, infreddoliti, presero posto nelle piccole tende, dapprima maschi e femmine divisi, ma poi, accampando varie scuse, i posti si scambiarono e, innocentemente, ragazzi e ragazze si mescolarono, finché sopraggiunse Morfeo. Fortunatamente c’era il cane a fare la guardia e a tenere a bada ogni timore di trovarsi all’aperto in balia di chissà che animali selvaggi.
Il risveglio non fu meno movimentato.
Alle prime luci dell’alba il fidato cane svegliò il suo padroncino e con esso tutta la compagnia. A poche decine di metri sopra l’accampamento era nevicato. E in effetti qualche genitore aveva posto un po’ di resistenza: una gita in montagna nel mese di aprile non era proprio il periodo ideale.
Patrik andò a lavarsi il viso nel vicino rio e ritornò accanto al gruppo di amici con il ciuffo di capelli congelato, facendo rimandare ogni proposito di pulizia agli altri sette.
Fu acceso il fuoco e si preparò il caffè. Nell’attesa si provò a spalmare la Nutella sul pane indurito, ma la crema di nocciola era congelata e fu adagiata accanto alla moka del caffè sul fuoco. I giovani inesperti attesero invano sia l’uno sia l’altra: ottennero solo una moka bruciata e un vaso di Nutella rotto.
Il freddo e la fame prese infine il sopravvento sulla voglia di avventura e decisero di smontare l’accampamento e tornare a casa.
Chissà perché quello che stava prima non entrava più negli zaini? Così le coperte furono arrotolate e legate sopra lo zaino e Sofia appese, alla bene e meglio, le pentole al proprio zaino e a quello di Alberto.
Lo sgangherato gruppo rientrò a casa, attraversando mezza Val Pesarina fu notato da qualche anziano curioso e pettegolo che diffuse la voce di ragazzi che giravano per la vallata sporchi e disordinati come zingari.
Per i giovani, invece, fu comunque una fantastica avventura, che li unì per sempre e che gli avrebbe fornito uno spassoso aneddoto da raccontare negli anni futuri e nelle rimpatriate. E cominciarono, finalmente, ad ascoltare i consigli dei genitori… Bon, forse non tutti, ma i cambiamenti avvengono un poco alla volta.