giovedì 10 maggio 2012

DANZA NOTTURNA


Giovanna si infilò nel letto, stanca ed affaticata dopo un’intera giornata passata a pulire e sistemare quella che era diventata la sua nuova casa. Ce n’era di lavoro da fare per renderla accogliente e per sentirsela sua. Non riuscendo a dormire, decise di leggere un po’ alla luce fioca dell’abat-jour. Si sentiva inquieta, ma forse era il fatto di trovarsi lì da sola, per la prima volta. Aveva già soggiornato in quella casa, che era appartenuta ai suoi nonni materni e che ora sua mamma le aveva prestato, avendo trovato lavoro lì vicino. Aveva passato lì interi fine settimana a far compagnia alla nonna quando era rimasta vedova, poi con i genitori quando quella era diventata “la casa di montagna” ed infine con gli amici per passare qualche notte spensierata con un bicchiere in mano.
Attorno tutto era silenzio. Non si capacitava di non sentire nulla: non una macchina, non uno schiamazzo, non un vicino che urlasse o che tenesse il volume della televisione troppo alto.
Silenzio. Solo quello.
Cercò di concentrarsi sul libro, sperando di trovare sonno. Ma non ci riusciva, tendeva l’orecchio alla ricerca di qualche suono.
Ed improvvisamente le sembrò di sentire, lontano, in sordina, una specie di risata maligna, una voce acuta. Ma forse si era sbagliata. Un brivido le percorse la schiena e subito le si rizzarono i peli delle braccia. Tornò a concentrarsi sul libro: si era sicuramente sbaglia.
Hi-hi-hi! Sentì di nuovo. Sembrava provenire dal corridoio. Con un brivido si alzò e, afferrando la maglia dalla sedia, si avviò verso la porta della camera, dove accese la luce, prima di aprire la porta e urlare: - C’è nessuno?
Silenzio.

- C’è qualcuno? - Ripeté con la voce roca.
Silenzio.
Allora con una balzo fu di nuovo nel letto. Agitata ed infreddolita.
Hi-hi-hi!
Quella risata quasi le rimbombava nella testa. Non era sicura di sentirla veramente o se semplicemente la stava immaginando, ma era terrificante.
Avvolgendosi la maglia attorno al corpo, si fece coraggio, ridiscese dal letto e quasi correndo uscì nel corridoio. 
Silenzio.
E poi, d’improvviso un bagliore e un fruscio.
Cos’era? Un animale? Ripassò con la mente gli ultimi attimi prima di coricarsi. Ne era certa, aveva chiuso tutte le porte e le finestre che davano all’esterno. Forse era entrato un gatto senza che se ne fosse accorta. Così provò a chiamare l’intruso: - Micio, vieni qui! Micio, micio! - E man mano che avanzava per le stanze accendeva la luce.
Niente. Non un rumore, non una presenza. Eppure si sentiva accapponare la pelle. Tornò a letto, spegnendo tutte le luci e chiudendo le porte interne ad una ad una. Spense anche la luce dell’abat-jour e si coprì con le coperte fin sopra la testa. Si sforzava di non pensarci. Sicuramente si era immaginata tutto. Ma quella risata maligna le era parsa così vera…
Hi-hi-hi!
Di nuovo.
Balzò a sedere.
In un attimo le si gelò il sangue, sentì un tonfo al cuore e le si seccò la gola: due occhietti verdi la fissavano. Allungò piano piano la mano tremolante verso l’interruttore dell’abat-jour, senza distogliere gli occhi da quei due faretti verdi. 
In un batter di ciglia la creatura era sparita, ma le era bastato un secondo per imprimersi quell’immagine nella mente: una strana piccola creatura verdognola e raggrinzita, con le orecchie a punta e il naso adunco, con i piedi palmati, vestita di stracci rossi, e per cappello una corolla di campanula. 
Ne era certa, quello che aveva appena visto era uno Sbilf: una specie di folletto dispettoso che vive in Carnia. Sua nonna gliene parlava sempre quando era piccola, raccontandole che erano delle creature magiche, che potevano cambiare morfologia, che amavano fare dispetti alla gente e che adoravano ballare e suonare, ma non amavano in nessun modo farsi vedere dagli umani, avvertendola di stare attenta a non farli arrabbiare perché potevano diventare molto pericolosi. Allora credeva fossero storielle inventante per non farla allontanare da sola nel bosco. 
Quindi, se lasciava la luce accesa lo Sbilf se ne sarebbe rimasto lontano per non farsi vedere e non le sarebbe successo niente. Magari aveva occupato la casa della nonna ritenendola disabitata e lo aveva spiazzato lei stessa, andandoci a vivere. Rasserenata da questi pensieri e con la luce dell’abat-jour accesa si addormentò, come cullata da una dolce ninna nanna.


Mentre Giovanna si cullava nel sonno, passò a pochi passi dalla casa Ilva, di rientro presso la sua abitazione dopo aver passato la serata da Adelina a sgranare fagioli secchi. Questa era un’antica abitudine delle donne carniche, che per alleviare le fatiche della vita quotidiana, si ritrovavano la sera presso il focolare di una di loro e tutte insieme compievano quel lavoro, chiacchierando spensieratamente; così quel compito diventava un piacere e a turno passavano da una casa all’altra fino a che tutte le famiglie non vevano i propri fagioli pronti al consumo.
Ilva, notando la luce diffusa per tutta la casa, un tempo abitata dalla sua amica, deviò leggermente dal sentiero, per appagare la sua innata curiosità. Sentì da lontano una dolce musica melodiosa e, intravedendo da una finestra Giovanna ballare, si affrettò a raggiungere di nuovo il sentiero, per paura di essere scoperta e passare per impicciona. Spensierata gioventù, pensò. Ma dopo due passi si bloccò tremante. Di solito Giovanna non ascoltava quel genere di musica, preferendo strimpellamenti moderni, come più volte aveva fatto ascoltare al vicinato. E poi, difficilmente una ragazza rimane in piedi fino a tarda notte solo per ballare da sola. Era successo qualcosa. Lo sentiva. Ma il suo sesto senso le impediva di avvicinarsi di nuovo alla casa. Era meglio essere prudente. In un attimo fece dietro-front e ritornò veloce sui suoi passi per bussare all’uscio di Adelina. Questa, già in vestaglia da notte, si trovò di fronte l’amica appena salutata, bianca come un lenzuolo.
- Devi venire con me… - disse quasi urlando e senza prendere fiato aggiunse: - è successo qualcosa alla piccola Giovanna… solo tu puoi aiutarla!
Adelina capì che non c’era tempo da perdere e senza rivestirsi si mise una pesante scialle di lana sulle spalle e seguì l’amica. Davanti alla casa di Giovanna, non appena percepì un paio di note musicale, trattenne Ilva per il braccio e strattonandola con violenza la riportò un paio di metri indietro.
- Non possiamo avvicinarci. Dobbiamo evitare di ascoltare la musica, sennò cadiamo anche noi nell’incantesimo.
- Incantesimo?
- Sì, Giovanna è vittima di uno Sbilf…
- Non starai scherzando, - replicò Ilva, tra lo spaventato e l’incredulità, - sono solo leggende…
- Sì, come no. Non saresti venuta da me se in fondo non lo sospettavi anche tu.
Così dicendo ritornarono a casa di Adelina per prendere tutto il necessario: tappi per le orecchie, oggetti di ferro, sale, terra di cimitero, ecc. Era noto a tutto il paese che Adelina sapeva contrastare malocchi e malefici: a casa sua teneva sempre un sacco di piante medicinali e oggetti strani allo scopo.
- Speriamo non sia troppo tardi… - sussurrò con un filo di voce Adelina.
- Non mi capacito, - disse Ilva, seguendo l’amica lungo il sentiero – com’è possibile un attacco così forte? Di solito se ne stanno nascosti e fanno al massimo dei dispettucci più o meno fastidiosi. Gli attacchi degli Sbilfs sono davvero pochi… Possibile che Giovanna sia riuscita a offenderne uno ed in così poco tempo?
- Credo che lo Sbilf avesse occupato la casa, stabilendovi la sua dimora… si sarà sentito sfrattato… ma non si può mai sapere come la pensano.
Prima di avvicinarsi alla casa si tapparono le orecchie e prima di varcare la soglia appesero sopra la porta una piccola scopa, simile a quelle che si usano sotto Natale, ma priva di decorazioni. Si trattava si uno dei tanti rimedi per tenere lontano gli Sbilfs, ma probabilmente non era sufficiente per scacciarli una volta entrati.
Trovarono Giovanna in camera sua, in piedi davanti al letto, che si dondolava a occhi chiusi. Di tanto in tanto alzava testa e braccia e faceva un giro completo su se stessa. Sembrava posseduta.
Le due vecchie non videro lo Sbilf, ma ne sentirono la presenza. Quelle pestifere creature avevano il potere di rendersi invisibili, tra le altre cose.
Provarono così a cospargere i piedi della malcapitata ragazza, prima con sale e poi con terra di cimitero; Tentarono poi, con molta difficoltà, a infilarle una maglia a rovescio; ed infine riempirono la stanza di fiori di margherita e di erica. Tutti sistemi conosciuti per scacciare gli Sbilfs e rompere i loro incantesimi. Ma tutti questi sistemi si rivelarono inefficaci.
Ci vollero ben tre giorni per ridestare la povera ragazza, che di ora in ora perdeva visibilmente vitalità, pur continuando a ballare ininterrottamente.
Poi, quando ormai Adelina aveva perso le speranze e si stava rassegnando all’inevitabile sopraggiungere della morte della ragazza, Giovanna si accasciò sul pavimento e rimase priva di coscienza per un’altra interminabile giornata. Le due donne l’accudirono minuto per minuto, spaventate da quella immobilità totale e dal lievissimo respiro, che faceva sembrare la giovane come sospesa in uno spazio senza vita e senza tempo. Di sicuro non stava dormendo. Quando si ridestò tirarono un sospiro di sollievo e benché molto provata per quella mistica esperienza, Giovanna se la sarebbe cavata. Alle due vecchie non rimase altro che spiegarle l’accaduto e aiutarla a scongiurare un altro possibile attacco.

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