domenica 29 giugno 2014

Un manoscritto da revisionare

Sono giunta alla vetta! Ho finalmente terminato il mio romanzo.
Il problema è che forse la fatica non è valsa il panorama. Ho riletto tutto d'un fiato quello che ho scritto, che poi non è così tanto se penso al tempo che ci ho messo (il file con gli scarti è più lungo!). Il risultato finale non è proprio come me lo aspettavo.
Il fatto è che per avere una maggiore chiarezza devo attendere qualche mese per rileggere il manoscritto ed iniziare la revisione. Ma se il lavoro mi delude già ora, cosa ne sarà tra qualche mese? Carta straccia?
Spero che la mia reazione sia solo dovuta alla tensione accumulata che sta scemando, come quando ti sottoponi ad un esame importante. Ti prepari per mesi e poi, subito alla fine del colloquio finale crolli e ti disperi perché sei andata malissimo. Poi ti riposi e ti rendi conto che non è andata per niente male e il giudizio degli esaminatori te lo conferma.
Ad ogni modo i prossimi passi saranno: uno, dimenticarsi di quanto scritto fin'ora, sgomberare la mente e iniziare a scrivere qualcosa di nuovo; due, consegnare due manoscritti a persone di fiducia, i quali hanno il compito di controllare fatti ed eventi (il romanzo parla di eventi realmente accaduti); tre, revisione finale e solo allora deciderò se potrò cercare un editore.

venerdì 20 giugno 2014

Notte insonne

Non c'è niente di più produttivo per uno scrittore di una notte insonne. Poco importa se la mattina dopo ci si alza assonnati e pieni di mal di testa.


lunedì 2 giugno 2014

L'ultimo capitolo

Sono in dirittura d'arrivo. È da un paio di mesi che vedo il traguardo con su scritto "fine romanzo". Non è mancanza di ispirazione o di idee. Il finale ce l'ho, sin da quando ho iniziato a scrivere il romanzo. Forse è più la paura di finire qualcosa che mi ha accompagnato per tanto, tantissimo tempo, di lasciare andare la mia creatura. Un po' come avviene con i figli: si passano anni ad educarli e ad insegnare loro come cavarsela da soli, ma poi, quando arriva il momento in cui devono spiccare il volo, si fa di tutto per trattenerli.
Ecco. A me manca proprio il coraggio di mettermi seduta davanti alla pagina bianca e scrivere quell'ultimo capitolo, forse due.
Sì, perché terminare il romanzo vuol dire procedere con la fase successiva. Non tanto quella della revisione, che in fondo l'ho già iniziata, almeno per i primi capitoli, ma la ricerca di un editore. Significa mettere in piazza il mio lavoro e magari scoprire che ho lavorato molto per un prodotto mediocre che nessuno vuole. E, ammettiamolo, questa è una possibilità non tanto remota, ma tanto tanto dolorosa. Eppure un passo fondamentale per ogni scrittore.

martedì 29 aprile 2014

Il furto della collana Victoria

«Allora, cos'è successo?» Chiese il commissario arrivando sulla scena, rivolgendosi in generale a tutti gli agenti presenti. Gli si avvicinò l’agente P. «Buonasera Commissario. Hanno rubato la Collana Victoria…»
«E niente altro?» Chiese quasi meravigliato il Commissario, rendendosi conto solo allora di trovarsi alla mostra “Gioielli reali: tra lusso e storia”, per cui tutta la città era tappezzata di locandine e di attenzione mediatica.
«No signore. Ma ho parlato con il Direttore del museo,» disse indicando un omino afflitto che parlava con l’agente della sicurezza del museo, «e la collana vale parecchi milioni di euro, senza parlare del suo valore storico… Insomma, sia che venga venduto sul mercato nero delle opere d’arte, sia che venga smontato e venduto per singole gemme, il ladro si sistema per tutta la vita.»
«Cos'ha detto? Il ladro? Come fa ad essere sicuro che si tratti di una sola persona?» Il commissario conosceva bene l’agente P., non parlava mai a caso e se aveva detto “il ladro” in modo così convinto, voleva dire che a riguardo aveva qualche indizio certo. Proprio per questo sulla sua scrivania aveva pronta una lettera di raccomandazioni per la sua promozione.
«Il furto è avvenuto con una destrezza unica. Senza interrompere gli allarmi elettronici ed eludendo le videocamere. Di sicuro un contorsionista o qualcosa del genere. Assieme all'agente Z. abbiamo visionato la videocassetta di sorveglianza e abbiamo colto un’ombra che si arrampicava su questo spigolo.» E indicò uno spigolo di pochi centimetri in alto sulla parete alta di fronte la bacheca che conteneva la Collana Victoria. «Il ladro si è calato dal tetto,» proseguì, dirigendosi verso la finestra e indicando un grande cerchio tagliato nel vetro, da cui penzolava una corda da alpinista, «e poi vi è risalito arrampicandosi sulla corda. Una sola persona, perché non aveva bisogno di complici che disattivassero allarmi o lo aiutassero in alcun modo.» Sentenziò infine.
Il Commissario si affacciò alla finestra con la testa nel buco e si ritrasse di colpo: una lieve vertigine dovuta all'altezza. In cuor suo non poté non avere un guizzo di ammirazione per il ladro.
«Testimoni?»
«La guardia notturna non ha visto niente. Abbiamo fermato una ragazza, che passeggiava fuori dal museo. La sta interrogando Z., ma sembra che non abbia visto nulla. Per di qua.»
L’agente P., seguito dal Commissario, scese le scale con passo atletico fino al piano terra, dove l’agente Z. era seduto su una panca con una giovane ragazza grassoccia. La ragazza sembrava molto tranquilla e continuava a scuotere la testa. L’agente Z., non appena si accorse della presenza del Commissario, gli si avvicinò. «Buona sera Commissario.»
«’sera. La testimone?»
«Afferma di non aver visto niente… Dice di essere uscita a fare due passi nella notte, perché soffre d’insonnia…»
«Be’, se il ladro è entrato e uscito dal tetto è plausibile.» Sussurrò il Commissario. «Prenda le sue generalità e la mandi a casa. Di certo non è lei!» Aggiunse con una risatina, alludendo alla forma fisica poco atletica della giovane; i due agenti complici risposero anch’essi con una risatina.
La ragazza venne congedata e salutò con un cenno del capo in direzione del Commissario quando con passo lento e pesante uscì dal museo. I poliziotti ripresero il loro lavoro incuranti.
Una volta fuori dal museo, la giovane prese una lunga e profonda boccata d’aria. Le piaceva l’aria fresca della notte. Si fermò a guardare in alto il palazzone del museo e osservò per un istante la finestra sfregiata dal ladro.

Poi riprese con il suo passo pesante la sua passeggiata, cercando di avvilupparsi intorno al corpo il giaccone nero, che a stento si chiudeva attorno alle sue rotondità. Poi, con un sorriso si mise le mani in tasca e ne toccò il contenuto. Dopotutto il suo aspetto, che tanto la complessava, aveva i suoi vantaggi: nessuno immaginava la sua grande agilità da atleta e men che meno il Commissario poteva sospettare che le prodezze del ladro contorsionista le poteva fare un corpo come il suo. In fondo la ricompensa per tanti anni di umiliazioni e per la superficialità di tutti coloro che la giudicavano solo dall'aspetto non era solo quello economico, che le avrebbe portato la Collana Victoria, ma era lo stupore ebete che di lì a poco la scoperta dell’identità de ladro avrebbe suscitato. Ma quando ciò accadde, lei era già lontana.

mercoledì 23 aprile 2014

Esercizi di scrittura - Io non scappo

Oggi voglio mostrarvi due versioni di uno stesso racconto.
L'occasione è nata dal concorso letterario indetto da Autogrill, che unisce due mi grandi passioni: la scrittura ed il caffè. Si tratta di completare una delle cinque tracce scritte da Luciano De Crescenzo.
Così, per curiosità, ho provato: ho scelto una traccia e poi mi sono lasciata prendere dall'ispirazione. È nato, senza aver nemmeno letto le regole del concorso, il primo racconto che posto qui sotto. Poi ho scoperto, mio malgrado, che lo spazio massimo era di 600 caratteri, spazi inclusi. Mi sono intestardita e ne è venuto fuori il secondo che riporto.

Mi ero da poco trasferito nella nuova casa, e una mattina scesi per andare al bar e prendere un bel caffè. C'era un po' di gente, così aspettai qualche secondo. Appena mi sembrò che il barista fosse libero mi feci avanti…
«Un caffè liscio, per favore.»
Il barista con fare professionale mi preparò un caffè nero e fumante.
«Lei è il signore che ha comprato la vecchia casa in via D’Annunzio?»
Feci un cenno con la testa, mentre sorseggiavo il caffè.
«E…» Esitò.
«Si?»
«Be’… dicono che sia infestato dai fantasmi…»
Mi misi a ridere: «Sì, in effetti le ho sentite queste voci…»
«E non ha paura?»
Risi ancora più forte.
«I fantasmi non esistono.» Puntualizzai.
«Sarà, ma in quella casa sono sempre successe cose strane. L’ultimo proprietario se ne è andato dopo solo un mese. Di notte. È letteralmente scappato.»
Le avevo sentite tutte quelle storie. Mi ero informato bene prima di firmare il contratto, visto che il prezzo così basso mi aveva alquanto insospettito. La casa era davvero favolosa: una villetta su tre piani, due garage, due cantine, una taverna, un bel giardino non troppo piccolo ma nemmeno troppo grande e tanto tanto sole. Al suo interno, molti anni prima, si era consumata una tragedia: il marito aveva trovato la moglie a letto con l’amante e furioso di gelosia li aveva ammazzati e poi si era tolto la vita. Le voci dicevano che da allora gli spiriti dei tre fossero rimasti nella casa e che rivivessero ogni notte la loro tragedia.
«Io non scappo, tranquillo. Quant’è il caffè?»
Pagai e uscii. Non sarei mai scappato da quella casa: mi sarei presto abituato ai rumori e alle urla che sentivo di notte; iniziavano sempre alla stessa ora, alle 23.43, e terminavano a mezzanotte in punto e poi potevo dormire tranquillamente. Ora più che mai non avrei lasciato quel posto, vicino a casa c’era un bar dove facevano un caffè eccellente.

Mi ero da poco trasferito nella nuova casa, e una mattina scesi per andare al bar e prendere un bel caffè. C'era un po' di gente, così aspettai qualche secondo. Appena mi sembrò che il barista fosse libero mi feci avanti…
e ordinai un caffè nero.
«Lei è il signore che ha comprato la vecchia casa?»
Feci un cenno di sì, mentre sorseggiavo il caffè.
«Non ha paura dei fantasmi? L’ultimo proprietario è scappato la prima notte terrorizzato.»
Molti anni prima il marito aveva trovato, in quella casa, la moglie con l’amante e furioso di gelosia li aveva ammazzati e poi si era tolto la vita. Le voci dicevano che da allora gli spiriti dei tre fossero rimasti nella casa e che rivivessero ogni notte la loro tragedia.
«Io non scappo.»
Ora che avevo assaggiato quel favoloso caffè, mi sarei anche abituato ai fantasmi!

Che ne dite?
Già che ci siete, se vi è piaciuto il racconto più corto, perché non mi votate a questo link?

domenica 13 aprile 2014

8 curiosità sulla mia scrittura

Ancora una volta Daniele Imperi ispira (anche se questa volta è stato ispirato a sua volta). E così ho riflettuto sul mio mondo di scrittrice ed ecco qui otto curiosità:

1) Quando inizio a scrivere ho già l'intera storia in testa: l'inizio, il corpo e la fine.
Non mi metto a scrivere finché non ho la trama ben in mente. Ci penso per giorni, fino a quando non ho tutto chiaro e poi scrivo. A volte arrivano comunque dei punti critici, ma non insormontabili e rimangono un'eccezione; niente che mi faccia buttare pagine e pagine già scritte.

2) Spesso il racconto nasce dal finale.
Immagino un finale, per lo più a sorpresa, e poi cerco di costruirvi sopra la storia.

3) Scrivo quasi tutto con carta e penna per poi trascrivere sul computer.
E non è una questione di tempo a disposizione e spazio dove scrivere, proprio mi viene più spontaneo. Lo so che così serve più tempo, ma si vede che la mia scrittura ha bisogno di tutto questo tempo.

4) Mi capita di scrivere di notte, a letto, quando mi prede l'insonnia.
Non perché l'ispirazione mi colga d'improvviso mentre dormo, ma perché quando mi metto a scrivere qualcosa, che sia un racconto o un romanzo, ci penso e ripenso tutto il giorno e, si sa, di notte si rielabora meglio.

5) Non scrivo affatto bene: gli altri scrivono molto meglio di me!
Non ho affatto una scrittura fluida, ma anzi è spesso ripetitiva e ridondante. Molti altri scrittori, invece, non hanno di questi limiti e riescono a rievocare immagini e sensazioni con parole semplici e scorrevoli o riescono a costruire similitudini e metafore bellissime, che a me, ahimé, non sono mai passate per la mente.

6) Adoro scrivere. Altrimenti avrei abbandonato da un pezzo!
E qui mi ricollego al punto precedente, perché se non avessi una vera ed insana passione per lo scrivere, sarei proprio una pazza a soffrire così davanti al foglio!

7) Vivo nel mio mondo, fatto di azioni e problemi quotidiani che mi assorbono completamente, ma quando mi capita di notare qualcosa in quello reale, diventa subito spunto per una storia.

8) La storia devo sentirla proprio mia.
Non potrei mai inventarmi una storia così su due piedi, solo per soddisfare un tema che propone qualcun altro. È per questo che non partecipo quasi mai ai concorsi letterari: il tema può essere d'ispirazione per qualcosa che ho già dentro, altrimenti non riesco a scrivere niente di decente.


venerdì 11 aprile 2014

Le avventure di V. - Mamma mi compri tanti libri?

In libreria
Tra gli scaffali di una libreria, con una voglia irrefrenabile di impossessarsi di tutti i libri che capitavano sotto gli occhi, scorrazzavano due piccole sbilfs (folletti carnici) di anni cinque e mezzo e due e mezzo.

V: - Voglio questo... e questo... mamma, mi prendi anche questo?
R: - ...
Mamma: - Bimbe, sceglietene uno solo, quello che vi piace di più.
V: - Mamma, ti prendi quello?
Mamma: - Sì.
V: - Allora, andiamo a pagare!
Mamma: - Aspetta, che guardo ancora un po'...
V: - Ma mamma, ti compri due libri? Non è giusto: avevi detto uno solo!
Mamma: - Uno è per papà...

A casa sul divano
V: - Mamma, glielo hai dato il libro a papà?
Mamma: - No... ti ho detto una piccola bugia... Sai, ho preso due libri per me perché papà non ne ha preso nessuno...
V: - Glielo devi dare!
Mamma: - Devo proprio?
V: - Sì, devi!
Mamma: Va bene... ma sono molto triste...
V: - D'accordo mamma, tienilo, ma non diciamolo a papà!

Se ti è piaciuto questo raccontino, ti piaceranno anche gli altri: clicca sulle "Avventure di V."

mercoledì 9 aprile 2014

Sussurri

A volte ci sono frasi sussurrate, che ti entrano dentro, scavano e ti scalfiscono fino ad insinuarsi nel tuo cervello e plasmarlo.
A volte ci sono frasi sussurrate che ti colpiscono più di grandi discorsi urlati.
A volte ci sono frasi sussurrate che fanno danni enormi!

sabato 29 marzo 2014

Una casa da salvare


Erano dieci anni che non mettevo piede in quella casa. Troppo doloroso. Troppi ricordi. Da quando la nonna era morta non avevo più voluto entrarvi: non ce n’era motivo. Ma quando papà mi comunicò la sua intenzione di vendere la vecchia casa, qualcosa si ribellò in me. La casa della nonna era piena di ricordi della mia infanzia e la sua tragica ed improvvisa morte mi aveva segnato. E ogni volta che pensavo a lei un laccio mi strizzava il cuore. Mi mancava molto ed avevo evitato di ripercorrere quelle stanze dove avevo trascorso molti giorni felici durante la mia infanzia. Ma mai e poi mai avrei permesso a degli estranei di entrarvi e di viverci. Così, con fermezza, chiesi a mio padre di cedermela per andarci a vivere da sola. Dopotutto ormai ero grande ed era giunta l’ora di spiccare il volo. Papà dapprima si meravigliò: gli sembrò strano che volessi vivere proprio in quella casa, dove per tanti anni mi ero rifiutata di entrare. Ma non si oppose, anzi, sembrò in qualche modo sollevato. Credo che in fondo dispiacesse anche a lui doverla vendere. Ma in lui era sempre prevalso il senso pratico della vita, a discapito delle passioni e dei ricordi, e piuttosto che lasciare una casa chiusa e disabitata destinata ad un lento, ma inevitabile degrado, preferiva venderla. Era sicuramente un sollievo per lui darla a sua figlia, che l’amava quanto lui.
E così mi imbarcai in questa fantastica avventura.
All’inizio si trattò di ripulire tutto dalla polvere e di rinfrescare ogni stanza. Diedi una mano di tintura in tutte le stanze, mantenendo il colore bianco originale. Di giorno mi improvvisavo imbianchina, aiutata dai miei genitori, e di sera, quando mi chiamavano, facevo la cameriera. Non avevo ancora trovato la mia strada lavorativa. Facevo lavori saltuari. Dopotutto, mi dicevo, ero ancora giovane e preferivo divertirmi con gli amici quando potevo. E poi non avevo una vera passione per qualcosa in particolare. Vivevo, come si suol dire, alla giornata.
Quando fu tutto più pulito e fresco e non rimaneva che trasferirmi, mi resi conto che quella casa non mi rispecchiava. Quella era ancora la casa della nonna e non rispondeva alle mi esigenze di ventenne. Si trattava di rinnovare la casa, ma senza ristrutturarla: non potevo permettermelo economicamente, né volevo imbarcarmi in lavoro di ristrutturazione, lunghi, impegnativi e polverosi. Per fortuna le stanze erano belle ampie da essere comunque versatili e potei disporre gli arredi a piacimento.
Mi recai in edicola ed acquistai tutte le riviste che parlavano di case e di arredamento e le studiai attentamente. Poi stesi un progettino: decisi la destinazione di ogni stanza; come sistemare i mobili della nonna, quali salvare, magari riciclandoli, e quali eliminare definitivamente; infine decisi il pattern dei colori da usare per tessuti e oggettistica. Non cambiai il colore delle pareti: preferivo lasciare il bianco per dare maggiore luce agli ambienti e giocare con i colori di tessuti ed accessori.
La mia vita cambiò molto. Avevo finalmente un progetto da seguire e mai come ora mi ero appassionata a qualcosa. In pochi giorni divenni una vera esperta in arredamento d’interni, grazie anche a internet. Acquistai tende e cuscini nuovi. Alcuni mobili li ridipinsi, per alcuni gli cambiai la destinazione. Il salotto fu il mio maggior successo. La vecchia poltrona della nonna, , ancora in buone condizioni,  rifoderata con un bel tessuto fluo bastava da sola per dare un nuovo aspetto, più giovanile, al salotto.  Gli accostai il vecchio tavolino un po’ tarlato che teneva al piano di sopra, dopo averlo leggermente carteggiato e avergli dato una mano di impregnante. Il massimo fu disporre in un angolo le vecchie valigie trovate in soffitta e destinate alla discarica,  impilandole per grandezza decrescente; sopra ci appesi una composizione di cartine geografiche, acquistate nuove. Per le altre stanze mi comportai più o meno allo stesso modo, riaccostai mobili diversi, riciclai il possibile, imparai tecniche fai-da-te, dall’uncinetto al decoupage.
In poco tempo la vecchia casa della nonna divenne la mia casa, fresca ed accogliente. Così potei finalmente trasferirmi. Organizzai una bella cena con i miei genitori e con gli amici, che non risparmiarono i complimenti per il risultato che avevo ottenuto nella casa, perché come cuoca lasciavo ancora a desiderare. Ero felice come non mai. In quei pochi mesi mi ero davvero divertita ed avevo ottenuto proprio un bel risultato. Mi resi conto che mi sarebbe piaciuto ricominciare mille volte questa esperienza, che mi aveva coinvolto e dato un’energia nuova, che non avrei mai immaginato di possedere.
Decisi così di diventare un’arredatrice di interni, trovando finalmente la mia strada professionale. Volevo diventare una vera professionista! La migliore!
Non ho ancora capito se papà aveva davvero deciso di vendere la casa della nonna o se la sua fosse stata solo una provocazione per aiutarlo a salvarla o se, addirittura, fosse un tentativo per salvare il mio destino incerto. Sicuramente salvò sia me sia la casa della nonna.

giovedì 6 marzo 2014

Raccolta 2013 - Ebook in omaggio

Ecco la breve raccolta di racconti e fiabe che ho scritto l'ano scorso. Se lo volete lo potete scaricare gratuitamente qui.

Buona lettura a tutti!