domenica 5 novembre 2017

Racconto brevessimo per Io Donna Winter

Ho provato a mettermi in gioco inviando un racconto brevissimo a IO Donna Winter. 
E devo dire che è stata una prova interessante, indipendentemente da come andrà a finire.
Mi sono sempre ritenuta una scrittrice di cose brevi. È una critica che mi è stata rivolto in più di un'occasione. Ecco, ho pensato che questo tipo di concorso fosse l'ideale per me. Ho pensato e scritto un racconto brevissimo, ma ahimè era troppo lungo! Mille caratteri, spazi inclusi, mentre il mio era praticamente il doppio. Ho faticato parecchio a tagliare e accorciare. Alla fine il risultato, lo potete vedere qui, non è male, anche se credo abbia perso un po' della sfumatura iniziale.

Ciò premesso, se vi piace, se vi va, se… be’ potete votarmi! Basta cliccare, dopo averlo letto, sul cuoricino apposito.
Grazie a chi vorrà dedicarmi un po’ del suo tempo.

sabato 28 ottobre 2017

Una sola notte

Un’antica leggenda narra che la notte tra il 31 ottobre e il 1° novembre i morti possano tornare dai vivi, parlare con loro e passare insieme un po’ di tempo. Questa speranza era stata per Alba l’unico spiraglio di vita, dopo la morte di Francesco. Aveva atteso quella notte per mesi e ora finalmente avrebbe potuto rivedere il suo amore; chissà, magari avrebbe anche potuto riabbracciarlo.
Durante il giorno aveva pulito tutta casa, con particolare attenzione al salotto, dove si accingeva ad attendere la sua venuta. Accese le candele profumate sul tavolino basso e si accomodò sul divano rosso con le gambe accucciate verso il corpo. Si era avvolta attorno il plaid bianco, quasi fosse un abbraccio sostitutivo di Francesco. Accese lo stereo e lasciò che si diffuse una dolce melodia nella stanza. Con il cuore che ad ogni minuto sobbalzava in trepida attesa, sfogliava una rivista di moda, cercando di concentrarsi sui nuovi trend di stagione. Ma la mente vagava nel ricordo di Francesco e del tempo che avevano passato assieme. Il primo incontro, con quell’uomo bellissimo ma insolente, in fila per giocare al lotto. Si erano poi incontrati diverse volte in ricevitoria e l’amicizia a poco a poco era nata per poi trasformarsi in passione. Ripensò alle lunghe chiacchierate seduti davanti al caminetto di casa sua a parlare svogliatamente di temi scottanti come la politica, le tragedie nel mondo e, in modo più coinvolto, di giocate al lotto e di eventuali funerali che, di tanto in tanto, irrompevano nella loro esistenza. Ogni volta che moriva qualcuno che conoscevano, Francesco diceva, a seconda dei casi: “un genitore non dovrebbe mai sopravvivere ai propri figli” o “se muoio io per primo, ti porto in sogno i numeri del lotto”. Fin’ora non lo aveva mai fatto. Francesco era terrorizzato dalle malattie e, tragicamente, quella lo aveva colpito e portato via. Ripensò a quegli ultimi giorni di sofferenza: in pochi giorni lo aveva consumato e portato via. Ricacciò indietro le lacrime: quello non era un giorno triste, ma di speranza. Guardò l’orologio sopra il televisore spento: già mezzanotte, pensò. Ripose la rivista sopra il tavolino, spense lo stereo e accese la televisione. Girò i canali uno per uno alla ricerca di qualche trasmissione interessante, che le permettesse di passare il resto dell’attesa vigile, ma spensierata. Si soffermò un po’ di tempo a guardare un programma di anticipazioni cinematografiche e poi ricominciò a vagare tra i vari canali. Il tempo ora le sembra interminabile. Non sentiva più nessun rumore, nemmeno dalla strada. Si distese dolcemente appoggiando la testa sul cuscino. L’orologio indicava l’una meno un quarto di notte. Decise di guardare una sit-com vecchissima, che passavano periodicamente da anni in televisione. L’una e mezza. Ora sentiva freddo e decise di aggiungere al plaid un’altra coperta, per scaldarsi un po’. Una volta creato un nido caldo non provò nemmeno a cambiare canale in televisione per non dover allungare il braccio verso il telecomando. L’ultima volta che guardò l’orologio erano le due e sette minuti e Francesco non si era ancora fatto vedere. Nemmeno se ne rese conto, ma si addormentò.
Si svegliò solo quattro ore dopo, quando la luce entrava accecante dalla finestra: la sera prima si era dimenticata di chiudere le tapparelle. Smarrita si mise seduta. Quanto era stata stupida a credere ad una simile sciocchezza: è ovvio che i morti non ritornano! In cuor suo lo aveva sempre saputo che era solo una diceria per babbei, ma ci aveva voluto credere. Si era resa improvvisamente conto di essere stata un povera illusa, nemmeno avesse avuto dodici anni. Piano si alzò dal divano; le facevano male tutte le ossa. Se non fosse stata così sciocca e cieca, avrebbe almeno dormito nel suo letto. Si diresse lentamente verso la porta del corridoio, con il plaid ancora sulle spalle, ma tornò sui suoi passi. Sul tavolino c’era qualcosa che la sera prima non c’era: una ricevuta di giocata del lotto. Afferrò il foglietto arancione, lo osservò bene e scoppiò a piangere.

giovedì 19 ottobre 2017

Progetti incompiuti

Stavo riordinando un po' di file nel computer e mi sono resa conto di avere tanti progetti letterari incompiuti. Alcuni dei quali mi hanno portato via anche un bel po' di tempo ed energia; uno in particolare ha coinvolto anche questo blog per un certo periodo: "Un motivo per leggere", che doveva diventare poi un libricino divertente per invogliare a leggere.
Tanti progetti che poi si sono fermati, persi nel nulla, e si sono allontanati dalla mia mente.
Eppure prima di cominciare a scrivere ci rifletto molto. Alcune idee mi girano in testa per giorni e giorni, prima di rendermi conto che proprio non valgono la pena di consumare carta e penna o memoria nel mio hard disk. Quindi quello che comincia a prendere forma in parole scritte ha già superato una prima selezione. Ma allora, perché in così tanti non proseguono e non arrivano alla fine?
Non è mancanza di tempo (che poi, ne ho davvero così poco?) o eccesso di idee, per cui una spodesta l'altra tra le mie priorità, né sono cose così ambiziose che non riesco a realizzare perché si aggrovigliano su sé stesse.
Sono proprio progetti che non avranno un futuro perché banali e sempliciotti, privi di alcun potenziale.
Non credo, comunque, li cancellerò mai dal mio computer. Rimarranno lì a ricordarmi che qualche volta ci provo, che indipendentemente dal risultato ho osato, che comunque scrivere rimane sempre una passione, anche se poi non mi porta da nessuna parte.
Anche a voi succede? Avete anche voi progetti incompiuti? E vi siete mai chiesti perché non li avete portati a termine?

venerdì 13 ottobre 2017

Che cosa scrivi?

A questa domanda sobbalzo sempre. Rispondere che scrivo narrativa è riduttivo.
Scrivo racconti e romanzi (brevi, almeno fin’ora). Nel mio caso, questi due tipi di testo più che per la lunghezza si distinguono per il genere.
Nei racconti voglio mostrare una situazione, descrivere un momento, ma voglio un finale a sorpresa. Alla fine ci dev’essere un elemento nuovo, estraneo e imprevedibile che ti fa dire “accidenti!”.
Nei romanzi, invece, parto da un evento o da una leggenda che mi ha in qualche modo colpito e mi chiedo: ma come sarà andata?
Per esempio in 1976 – L’urlo dell’Orcolàt, sono partita del terremoto che realmente avvenuto in Friuli nel 1976 e mi sono immaginata, oltre alla tragedia e al dolore già ampliamente descritti dai giornali, le conseguenza che avrebbe portato nella vita di tutti i giorni a una giovane donna sopravvissuta. Mentre, nel romanzo che ho da poco finito di scrivere, parto dalla leggenda che vorrebbe che la fabbrica di orologi F.lli Solari (famosa nel mondo per aver inventato l’orologio a palette che si trova in tutte le stazioni ferroviarie e gli aeroporti) sia stata fondata a Pesariis (Val Pesarina) da un pirata genovese. Vi siete incuriositi, vero? Anch’io, così ho deciso di inventarmi tutto quello che nessuno sa e di scriverci un romanzo.
Che cosa scrivo? Quello che non trovo in altri libri, le risposte alle mie domande.

mercoledì 21 giugno 2017

La prima esperienza con il self


Alcune persone si sono dimostrate interessate al mio primo libro, Il valore di un libroormai fuori catalogo da un paio di anni. Appurato di non avere più legami contrattuali con la casa editrice ho pensato di rieditarlo.
Le strade possibili erano due: cercare un nuovo editore interessato o provare con l’auto-pubblicazione.
Premetto che non mi sento pronta per diventare un’autrice indipendente. Prima di tutto perché la pubblicazione richiede tempo e competenze tali, che andrebbero a discapito della scrittura (come ad esempio preparazione della copertina, l’impaginazione, l’inserimento sull’apposita piattaforma). E forse anche per un po’ di paura. Mettersi in gioco da soli non è facile: ogni scelta e ogni fallimento grava sulle proprie spalle. Ho scritto “fallimento”, perché quando si inizia un progetto (e non mi riferisco solo alla pubblicazione di un libro) bisogna tener conto anche che la cosa potrebbe non decollare e non avere il successo sperato.
Eppure l’idea di sperimentare il self, di provare a fare una cosa tutta da sola, di imparare cose nuove, di avere il controllo totale del mio libro, mi affascina da un po’ di tempo (e forse anche per la promessa di maggiori guadagni, perché diciamocelo: l’editore si tiene una bella fetta e a te riserva una percentuale di diritto d’autore davvero ridicola).
Ho così pensato di provare a rieditare il mio primo libro, che rappresenta di per sé un paracadute di emergenza. È un libro che ha già avuto il suo editing e ha già dato i suoi frutti, per cui non ho grandi aspettative di vendita. Ho pensato così di provare, per soddisfare la mia curiosità e sperimentare questa forma di edizione.
Devo dirlo: è stata una gran fatica.
Dopo aver letto diversi articoli in merito, scritti da colleghi che pubblicano in self da anni, e acquisito quindi alcune nozioni di base, mi sono affidata alla piattaforma Amazon, che mette a disposizione un programma on line per aiutare la fase di preparazione sia del libro cartaceo sia della versione e-book. La difficoltà più grande l’ho riscontrata con la scelta dell’immagine. Considerata la scarsa potenzialità di vendita del libro (perché, ripeto, molti dei miei lettori lo hanno già acquistato nella prima edizione), ho preferito risparmiare e non affidarmi a un grafico. Non sono brava a fare fotografie, per cui ho dovuto optare per le fotografie a uso gratuito messe a disposizione sul web. Ho sprecato molto tempo a cercare quella giusta: prima si è trattato di individuare quelle adatte alla trama del libro, poi di eliminare quelle già utilizzate in blog e libri (cioè quelle che mi era già capitato di vedere in giro e ovviamente le più belle) ed infine provare a inserirla nel programma e vedere se stava bene nel formato e con le scritte ed infine sperare che la copertina superasse il test qualitativo messo a disposizione dall’applicativo.
L’impaginazione, invece, è stata piuttosto semplice. Mi è bastato smanettare un po’ con il word, impostando la dimensione della pagina come la dimensione del libro, rivedere i margini e la grandezza del carattere.
Ho così soddisfatto la mia curiosità, ma non mi sono ancora del tutto convinta a passare definitivamente al self. Per il terzo romanzo sto cercando un editore. Nonostante i limiti che ho riscontrato con le passate esperienze, non mi sento pronta a ripetere questa esperienza con il romanzo (forse con una raccolta di racconti), perché mi mancano ancora molte competenze, come ad esempio la pubblicazione su altri store on line, e per avere un buon prodotto dovrei comunque affidarmi ad esperti (editing, grafica, ecc.) che hanno il loro costo.
I guadagni? Questo non so ancora dirvelo. La percentuale che mi spetta è migliore di quella che riuscirei a estorcere a qualsiasi editore, ma dipende dal numero di copie vendute e solo tra diversi mesi avrò questo dato.
Voi avete mai provato l’esperienza del self?
E voi lettori, leggete libri auto pubblicati o preferite ancora quelli editi dalle tradizionali case editrici?

mercoledì 29 marzo 2017

La segretaria del capo

Quanto odiava quella donna. Miss-perfettina-so-tutto-io.
Ma si sarebbe vendicato. Eccome!
Aveva studiato un piano perfetto e le avrebbe fatto vedere di che cos’era capace.
Ormai ci meditava da mesi.
Non la sopportava più. La sua vista al mattina gli rivoltava lo stomaco. Quando usciva dall’ascensore era lì seduta alla sua scrivania, che lo osservava, anzi gli faceva la radiografia, e poi, mentre lui timbrava il cartellino, lei guardava l’orologio. Ma chi si credeva di essere? Insomma, se al Capo non importava se arrivava cinque minuti in ritardo o se si assentava durante l’orario di lavoro, non doveva interessare men che meno a lei. Era solo la segretaria del Capo. Ma si credeva il supervisore di tutto l’ufficio, solo perché aveva la scrivania nel corridoio, proprio di fronte all’ascensore.
All’inizio, appena assunto, due anni prima, quasi l’ammirava. Sempre impeccabile, bellissima ed elegante, molto educata e non alzava mai la voce. Ma presto aveva capito che lo teneva d’occhio. Si segnava ogni suo spostamento, ogni suo ritardo, ogni suo comportamento “non consono all’ufficio” secondo il suo personale giudizio. Sempre lì a giudicarlo. E se il Capo non si accorgeva da solo dei suoi comportamenti “scorretti”, sempre ad insindacabile giudizio della segretaria, o semplicemente non ci dava peso, lei gli presentava il suo resoconto e lo sibilava finché non prendeva un qualche provvedimento. Il Capo stravedeva per lei e quindi si sentiva in dovere di ascoltarla.
Non la sopportava.
Era andato via di casa perché non sopportava più sua madre, che voleva sapere continuamente dove era, cosa faceva, con chi era. Non accettava di rendere conto ad un’estranea. Non lo permetteva a sua madre, figuriamoci alla fighetta dell’ufficio.
Ma quella sera, finalmente, avrebbe avuto la sua rivincita.
Dopo mesi che meditava un piano, infine era giunta l’occasione perfetta.
La saccente si sarebbe fermata in ufficio fino a tardi per preparare gli inviti per la festa che avrebbe dato il Capo il mese seguente. Era un lavoro che il Capo affidava ogni volta solo ed esclusivamente alla sua preferita e che lei svolgeva la sera, dopo il normale orario di lavoro.
Il suo piano era perfetto.
Quella sera era uscito timbrando il cartellino un minuto prima della fine della giornata lavorativa. Sapeva che lei lo avrebbe annotato. Si era poi fermato nel locale sotto l’ufficio a farsi due birre con i colleghi e si era fatto vedere mentre prendeva la macchina e si allontanava. Appena fuori dal campo visivo, si era fermato e aveva nascosto la macchina in un luogo poco frequentato. Si era cambiato gli abiti dell’ufficio, indossando jeans, felpa grigia e berretto con visiera, che aveva messo nel bagagliaio la mattina. Era ritornato verso l’ufficio a piedi ed era salito al quinto piano per le scale d’emergenza.
Lei era lì. Rigida e bellissima nei suoi vestiti all’ultima moda. Lo urtava anche quel suo aspetto: sempre alla moda, ogni giorno vestiva abiti nuovi e tutto le calza a perfezione. Le sue colleghe si sentivano a disagio accanto a lei. Ma in fondo era solo una segretaria. Ci avrebbe pensato lui a ridimensionarla.
Si infilò un paio di guanti in lattice, di quelli che sua madre usava quando puliva il pesce. Si presentò davanti alla giovane donna, che, solo un po’ sorpresa, gli chiese cosa facesse lì.
E’  insopportabile, pensò. Qualsiasi altra persona al posto suo, vedendolo lì con i guanti da chirurgo, si sarebbe spaventata, ma lei non fece una piega. Possibile che non temesse per la sua incolumità? Possibile che si credesse così al di sopra di tutto e tutti?
«Hai finito di controllarmi!» Le urlò contro, afferrando il tagliacarte che aveva sulla scrivania e piantandoglielo dritto nel cuore.
Finalmente il terrore era comparso su quel volto misto a sorpresa. Un rivolo di sangue le uscì dalla ferita, mentre lei si portava le mani al tagliacarte. Un altro rivolo di sangue cominciò a scenderle dal lato destro della bocca aperta.
La guardò mentre annaspava e cercava invano di levarsi il tagliacarte dal corpo. Ormai non aveva più forza. Aspettò finché non fosse sicuro che fosse morta. Continuando a guardarla, fece alcuni passi indietro e, cercando il pulsante a tastoni, chiamò l’ascensore.
L’avrebbe trovata la donna delle pulizie e nessuno avrebbe sospettato di lui. Il suo piano era perfetto. Tutti l’avevano visto andarsene e non aveva lasciato impronte di nessun tipo. Appena a casa avrebbe bruciato nella caldaia dell’impianto di riscaldamento i vestiti che aveva indosso, comprese le scarpe. Erano indumenti acquistati per l’occasione, completamente diversi da quelli portava solitamente. Se anche qualcuno lo avesse visto avvicinarsi all’ufficio, non lo avrebbero riconosciuto.
Quando entrò nell’ascensore si sentì come liberato da un peso. Giustizia era fatta. Ora nessuno poteva controllarlo e giudicarlo.
Schiacciò il pulsante per il piano terra e si girò verso lo specchio che si trovava di fronte alle porte. Voleva osservare il suo viso per vedere se tradiva qualche emozione. Improvvisamente si bloccò, sentendosi ghiacciare il sangue nelle vene. Sullo specchio era attaccato un avviso:

ASCENSORE GUASTO
PER EVITARE DI RIMANERE BLOCCATI
USARE LE SCALE

Quando era uscito dall’ufficio non c’era quell’avviso… Dovevano averlo messo dopo.
Aveva appena letto quelle poche parole che l’ascensore sobbalzò e si bloccò. Partì la telefonata di emergenza. Cercò di aprire le porte, facendo forza con la punta delle dita nella fessura di congiunzione delle due ante, ma inutilmente.
Allora si rese conto di essere in trappola. Non aveva via di scampo. Il suo piano perfetto aveva avuto un intoppo imprevisto.
Ancora una volta aveva vinto lei.

venerdì 24 marzo 2017

Passione o professione?

Ho sempre pensato che con più tempo a disposizione sarei riuscita a scrivere di più. Sono molto riflessiva e ciò mi porta ad essere anche molto lenta in questo processo, per cui un lavoro a tempo pieno, due bambine piccole, la casa da pulire, ecc. non possono che essere un ostacolo alla produzione letteraria.
Eppure devo ricredermi. Da un mese sono a casa (non sto qui a spiegarvene le motivazioni, ma tranquilli: sto bene e non ho perso il lavoro), ma la mia produzione di parole non è aumentata di molto (ok, ho finito la stesura del mio terzo romanzo, ma era da un bel po' di tempo che ci lavoravo su). Non lo so se è perché mi ci sono voluti quindici giorni per rilassarmi (avevo accumulato davvero molto stress) e poi altrettanti per recuperare l'arretrato delle pulizie domestiche, ma non credo. Probabilmente mi manca la disciplina. Amo scrivere e appena posso lo faccio, ma non con regolarità e forse un po' troppo come se fosse un hobby da fare nei ritagli di tempo. Mi rendo conto perfettamente che, per diventare una scrittrice professionista, devo abbandonare questo atteggiamento di attività da tempo libero e diventare, appunto, più professionale, individuando nella giornata uno spazio ben preciso da dedicare solo ed esclusivamente alla scrittura. E questo lo posso fare lavorando ogni giorno o rimanendo a casa a fare la casalinga (disperata).
Mi sto chiedendo se il fatto di non voler individuare un orario di lavoro preciso, non sia in fondo un modo per allontanarmi proprio dal concetto di "lavoro". Scrivere è una passione, un desiderio che nasce dal profondo e anche un modo di evade dal quotidiano. Ho paura che fissare dei paletti, come individuare l'orario di produzione, stabilire delle giornate fisse per mettermi alla tastiera cascasse il mondo, mi toglierebbe un po' del piacere che provo a inventare storie e produrre parole sul foglio (cartaceo o virtuale che sia, non fa alcuna differenza).

Ora lascio lo spazio a voi: come vi rapportate alla passione della scrittura, come un hobby o come una professione?

lunedì 13 febbraio 2017

DI NUOVI GENERI E ALTRE DEFINIZIONI

Non amo molto le definizioni, soprattutto quando si tratta di libri. Un libro non è mai una cosa sola, perché una storia può racchiudere dentro di sé diversi generi, salvo qualche (scadente) eccezione.
Però ultimamente mi imbatto in termini nuovi, come il genere M/M per fare un esempio, e mi sono accorta di avere una grave lacuna in termini di generi letterari, ovvero dei loro nomi, visto che penso di aver spaziato un po’ tutti quanti, anche gli M/M (se non lo aveste capito, leggo a prescindere dalla definizione, lasciandomi catturare dalla quarta di copertina o da piccoli estratti).
Ho voluto quindi porre rimedio a questa lacuna, più per non sentirmi una semi-analfabeta quando si parla di generi nuovi.
Questo post nasce così, senza pretesa alcuna, e sicuramente senza la presunzione di essere esaustiva. Ovviamente tralascio i termini più noti (giallo, rosa, noir, fantasy, thriller, ecc.), perché penso che chiunque li conosca (sono nozioni base di chiunque abbia frequentato la scuola dell’obbligo).

Cick-lit: letteralmente “letteratura per pollastre”. Sono romanzi rivolti alle giovani donne, single e in carriera. Si differenziano dai romanzi rosa per le seguenti caratteristiche: sono umoristici, femministi le protagoniste sono sempre donne alla moda e lavoratrici in settori come il giornalismo,  la finanza, l’editoria la moda o la pubblicità.

Cyber Punk: letteratura fantascientifica in cui temi legati alla realtà delle società post industriali elaborati nel segno di un’ideologia di ribellione e di critica sociale.

Fan Fiction: abbreviato in F/F. Sono opere letterarie scritte da appassionati, prendendo spunto da storie o personaggi di un’opera originaria, sia essa letteraria, cinematografica o televisiva.

M/M: Ovvero male/male  (uomo/uomo). Sono i romanzi dove i protagonisti principali sono due uomini e si narra la loro storia d’amore.

Mainstream: Comprende tutta la letteratura non di genere. La giusta definizione per chi sta cercando proprio la definizione dei generi letterari! In effetti in questa categoria rientrano tutti quei romanzi che non trovano una giusta collocazione negli altri generi. Spesso questo termine viene erroneamente usato per indicare la letteratura di massa che fa tendenza.

New Adult: è letteratura rivolta ad un pubblico adulto giovane, di età tra i 18 e i 30 anni. L’ambientazione è contemporanee, realistica e con tematiche quasi sempre legate a problemi concreti e situazioni amorose.

New Weird: genere che si caratterizza per la presenza di generi fantasy mischiati ad altri fantascientifiche e horror. Caratteristiche del genere, oltre al mescolarsi di magia e tecnologia, è l’uso di creature e ambientazioni molto strane ed originali e l’uso di atmosfere oscure.

Romance: nient’altro che il nome moderno di un romanzo rosa, ovvero una storia d’amore con lieto fine.

Slash Fiction: sottogenere del Fan Fictionin cui si narrano le vicende amorose e sessuali di personaggi appartenenti allo stesso genere (per lo più maschili).

Splatter:si tratta di storie che fanno leva sulla paura del lettore, provocando ribrezzo.Si differenziano dal genere horror in quanto l’horror fa leva sulle paure evocando timore, mentre lo splatter fa leva sulle paure descrivendo scene esageratamente violente, disgustose, sanguinarie, che provocano ribrezzo e repulsione.

Young Adult: abbreviato anche in YA, è la letteratura rivolta ad un pubblico giovane, di età tra i 12 e 18 anni. Solitamente i protagonisti di questi romanzi sono anch’essi adolescenti. Pur non essendo inquadrabili in un vero e proprio genere (possono infatti spaziare dal rosa, al giallo, al fantasy) i giovani protagonisti si trovano ad affrontare i problemi classici del romanzo di formazione.

Wuxia: genere letterario proprio della letteratura cinese. Si caratterizza per narrare vicende di cavalieri cinesi che al posto della spada usano le arti marziali. Diversamente dai cavalieri “occidentali” non sono mai nobiluomini e spesso sono in contrasto con le autorità, quasi un ribelle dal cuore buono.Per lo più le abilità di questi eroi superano di gran lunga le semplici arti marziali e le capacità umani.


Ma mi chiedo: non è che tutti questi termini nuovi sono solo dei sottogeneri?

martedì 31 gennaio 2017

METTERE LA PAROLA FINE AL PROPRIO LAVORO

Mettere la parola fine a un lavoro che ci ha portato via mesi non è facile. Quel lavoro è diventato parte di te, della tua quotidianità. È quasi un figlio. È quello che mi sta capitando con il mio ultimo romanzo. Per molto tempo ho cercato il giusto finale, perché quello che avevo immaginato quando ho iniziato la stesura non era più adeguato. Oserei dire persino banale e probabilmente lo era già in fase di progettazione. Ho così trovato quello giusto e l’ho perfino scritto. Ora mi mancano un paio di capitoli precedenti, per non lasciare un buco. Mi è già capitato di scrivere, senza rispettare l’ordine finale della storia (non quella cronologica, ma quella necessaria per la trama, che si sa ama i feedback e quelle costruzioni lì per creare suspense). Per cui non è questo il problema. Quando ho scritto il capitolo finale sapevo che avevo ancora qualcosa da scrivere. Il fatto è che però mi sono resa conto che mi mancava un minimo sforzo per completare il romanzo e questa consapevolezza mi ha bloccato. Non ho più scritto una parola del romanzo, dedicandomi ad altri progetti, nei quali ho messo meno passione.
Non è blocco dello scrittore, perché so cosa scrivere, il come viene davanti alla tastiera.

Il punto invece è questo: quando una cosa ti appassiona, la senti tua, gli hai dato tutte le tue attenzioni, hai paura di lasciarla andare. Il mio romanzo è lì, semi completo, gli basta poco per prendere la sua strada (lettori beta, revisioni e ricerca di editore) e non me la sento di concluderlo. 

venerdì 6 gennaio 2017

La storia della Befana

In un villaggio, non molto distante da Betlemme, viveva una giovane donna che si chiamava Befana. Non era brutta, anzi, era molto bella e aveva parecchi pretendenti.. Però aveva un pessimo caratteraccio. Era sempre pronta a criticare e a parlare male del prossimo. Cosicché non si era mai sposata, o perché non le andava bene l’uomo che di volta in volta le chiedeva di diventare sua moglie, o perché l’innamorato – dopo averla conosciuta meglio – si ritirava immediatamente.
Era, infatti, molto egoista e fin da piccola non aveva mai aiutato nessuno. Era, inoltre, come ossessionata dalla pulizia. Aveva sempre in mano la scopa, e la usava così rapidamente che sembrava ci volasse sopra. La sua solitudine, man mano che passavano gli anni, la rendeva sempre più acida e cattiva, tanto che in paese avevano cominciato a soprannominarla “la strega”. Lei si arrabbiava moltissimo e diceva un sacco di parolacce. Nessuno in paese ricordava di averla mai vista sorridere. Quando non puliva la casa con la sua scopa di paglia, si sedeva e faceva la calza. Ne faceva a centinaia. Non per qualcuno, naturalmente! Le faceva per se stessa, per calmare i nervi e passare un po’ di tempo visto che nessuno del villaggio veniva mai a trovarla, né lei sarebbe mai andata a trovare nessuno. Era troppo orgogliosa per ammettere di avere bisogno di un po’ di amore ed era troppo egoista per donare un po’ del suo amore a qualcuno. E poi non si fidava di nessuno. Così passarono gli anni e la nostra Befana, a forza di essere cattiva, divenne anche brutta e sempre più odiata da tutti. Più lei si sentiva odiata da tutti, più diventava cattiva e brutta. Aveva da poco compiuto settant’anni, quando una carovana giunse nel paese dove abitava. C’erano tanti cammelli e tante persone, più persone di quante ce ne fossero nell’intero villaggio. Curiosa com’era vide subito che c’erano tre uomini vestiti sontuosamente e, origliando, seppe che erano dei re. Re Magi, li chiamavano. Venivano dal lontano oriente, e si erano accampati nel villaggio per far riposare i cammelli e passare la notte prima di riprendere il viaggio verso Betlemme. Era la sera prima del 6 gennaio. Borbottando e brontolando come al solito sulla stupidità della gente che viaggia in mezzo al deserto e disturba invece di starsene a casa sua, si era messa a fare la calza quando sentì bussare alla porta. Lo stomaco si strinse e un brivido le corse lungo la schiena. Chi poteva essere? Nessuno aveva mai bussato alla sua porta. Più per curiosità che per altro andò ad aprire. Si trovò davanti uno di quei re. Era molto bello e le fece un gran sorriso, mentre diceva: “Buonasera signora, posso entrare?”. Befana rimase come paralizzata, sorpresa da questa imprevedibile situazione e, non sapendo cosa fare, le scapparono alcune parole dalla bocca prima ancora che potesse ragionare: “Prego, si accomodi”. Il re le chiese gentilmente di poter dormire in casa sua per quella notte e Befana non ebbe né la forza né il coraggio di dirgli di no. Quell’uomo era così educato e gentile con lei che si dimenticò per un attimo del suo caratteraccio, e perfino si offrì di fargli qualcosa da mangiare. Il re le parlò del motivo per cui si erano messi in viaggio. Andavano a trovare il bambino che avrebbe salvato il mondo dall’egoismo e dalla morte. Gli portavano in dono oro, incenso e mirra. “Vuol venire anche lei con noi?”. “Io?!” rispose Befana.. “No, no, non posso”. In realtà poteva ma non voleva. Non si era mai allontanata da casa. Tuttavia era contenta che il re glielo avesse chiesto. “Vuole che portiamo al Salvatore un dono anche da parte sua?”. Questa poi… Lei regalare qualcosa a qualcuno, per di più sconosciuto. Però le sembrò di fare troppo brutta figura a dire ancora di no. E durante la notte mise una delle sue calze, una sola, dove dormiva il re magio, con un biglietto: “per Gesù”. La mattina, all’alba, finse di essere ancora addormentata e aspettò che il re magio uscisse per riprendere il suo viaggio. Era già troppo in imbarazzo per sostenere un’altra, seppur breve, conversazione. Passarono trent’anni. Befana ne aveva appena compiuti cento. Era sempre sola, ma non più cattiva. Quella visita inaspettata, la sera prima del sei gennaio, l’aveva profondamente cambiata. Anche la gente del villaggio nel frattempo aveva cominciato a bussare alla sua porta. Dapprima per sapere cosa le avesse detto il re, poi pian piano per aiutarla a fare da mangiare e a pulire casa, visto che lei aveva un tale mal di schiena che quasi non si muoveva più. E a ciascuno che veniva, Befana cominciò a regalare una calza. Erano belle le sue calze, erano fatte bene, erano calde. Befana aveva cominciato anche a sorridere quando ne regalava una, e perciò non era più così brutta, era diventata perfino simpatica. Nel frattempo dalla Galilea giungevano notizie di un certo Gesù di Nazareth, nato a Betlemme trent’anni prima, che compiva ogni genere di miracoli. Dicevano che era lui il Messia, il Salvatore. Befana capì che si trattava di quel bambino che lei non ebbe il coraggio di andare a trovare. Ogni notte, al ricordo di quella notte, il suo cuore piangeva di vergogna per il misero dono che aveva fatto portare a Gesù dal re magio: una calza vuota... una calza sola, neanche un paio! Piangeva di rimorso e di pentimento, ma questo pianto la rendeva sempre più amabile e buona. Poi giunse la notizia che Gesù era stato ucciso e che era risorto dopo tre giorni. Befana aveva allora 103 anni. Pregava e piangeva tutte le notti, chiedendo perdono a Gesù. Desiderava più di ogni altra cosa rimediare in qualche modo al suo egoismo e alla sua cattiveria di un tempo. Desiderava tanto un’altra possibilità ma si rendeva conto che ormai era troppo tardi. Una notte Gesù risorto le apparve in sogno e le disse: “Coraggio Befana! Io ti perdono. Ti darò vita e salute ancora per molti anni. Il regalo che tu non sei venuta a portarmi quando ero bambino ora lo porterai a tutti i bambini da parte mia. Volerai da ogni capo all’altro della terra sulla tua scopa di paglia e porterai una calza piena di caramelle e di regali ad ogni bambino che a Natale avrà fatto il presepio e che, il sei gennaio, avrà messo i re magi nel presepio. Ma mi raccomando! Che il bambino sia stato anche buono, non egoista... altrimenti gli metterai del carbone dentro la calza sperando che l’anno dopo si comporti da bambino generoso”. E la Befana fece così e così ancora sta facendo per obbedire a Gesù. Durante tutto l’anno, piena di indicibile gioia, fa le calze per i bambini... ed il sei gennaio gliele porta piene di caramelle e di doni. È talmente felice che, anche il carbone, quando lo mette, è diventato dolce e buono da mangiare.

lunedì 2 gennaio 2017

2016: un anno di libri

Un anno fa ho inaugurato questo elenco di libri letti durante l'anno, per lo più per rendermi conto di quanto leggo davvero, ma anche per fermare un po' su carta tutte queste letture, perché si sa, non proprio tutto viene trattenuto dalla memoria.

Anche il 2016 si è caratterizzato da un lungo elenco di letture, anche se, paragonato al 2015, è più breve. Ho avuto un calo significativo nell'ultimo periodo (e non solo nelle letture, ma non vi tedierò...).

Riporto, quindi qui di seguito l'elenco, privo di commenti e giudizi: alcuni mi sono piaciuti molto, altri invece per nulla. Escludo, anche questa volta, tutti i testi che, per qualche motivo, non ho letto per intero, quelli che non ho portato a termine, quelli consultati per ricerche e per lavoro e tutti i libri e libricini letti alle mie bambine.

1) Pasolini un uomo scomodo, Oriana Fallaci;
2) Lajoie, il narratore, Giovanna Nieddu;
3) La ragazza del treno, Paula Hawkins;
4) In writting, Stephen King;
5) Un anno con Salinger, Joanna Rakoff;
6) Il tram del tempo, Davide Schito;
7) Come scrivere un best seller in 57 giorni, Luca Ricci;
8) Caro lettore in erba..., Gianluca Mercante;
9) Aprire un a libreria (nonostante l'-e-book), Gianni Peresson e Alberto Galla;
10) Per dieci minuti, Chiara Gamberale;
11) L'uomo che voleva fermare il tempo, Mitch Albom;
12) Le avventure di Sherlock Holmes, A. Connan Doyle;
13) Bagliori nel buoio, Maria Teresa Steri;
14) Passeggeri notturni, Gianrico Carofiglio;
15) Io viaggio da sola, Maria Perosino;
16) Scrivere un best seller, Gianni Lorenzi;
17) Io sono il nordest, AA.VV.;
18) La roccia nel cuore, Antonella Mecenero;
19) Il giovane Holden, J.D. Salinger;
20) Scrivere? Non è un mestiere per donne, Laura Costantini;
21) L'anno della grande nevicata, Gianni Lorenzi;
22) La situazione è grammatica, Andrea De Benedetti;
23) Il paese delle stelle nascoste, Sara Yalda;
24) Ricardo Y Carolina, Laura Costantini e Loredana Falcone;
25) Il sentiero dei profumi, Cristina Caboni;
26) Voglio scrivere un romanzo: vademecum per scrittori esordienti, Michel Franzonso;
27) Malgré-nous, Caroline Fabre - Rousseau;
28) La passione ribelle, Paola Mastracola;
29) La moglie magica, Sveva Casati Modigliani;
30) Il silenzio del mare, Vercors;
31) Senza tacchi non mi concentro!! (O così dice mia madre), Colette Kebell;
32) Scrivere è un mestiere pericoloso, Alice Basso;
33) Stanotte il cielo ci appartiene, Adriana Popescu;
34) Baci scagliati altrove e altri racconti, Sandro Veronesi;
35) Il bibliotecario, Marco Guarda;
36) Come la penso. Alcune cose che ho dentro la testa, Andrea Camilleri.

Le letture si diversificano molto tra di loro, per genere, formato, tema. Sono andata alla ricerca di autori nuovi, emergenti, poco noti, ma ho rispolverato anche qualche vecchio classico che ancora non avevo letto. 
Gli e-book sono davvero pochi: non li sento ancora come libri veri e propri.

Ora tocca a voi. Cosa vi sembra il mio elenco? Avete condiviso qualche lettura con me? Quali sono state invece le vostre?