mercoledì 27 aprile 2016

Cambiamenti ed evoluzioni

Ultimamente mi sto interrogando parecchio sul me stessa come scrittrice. Sarà che a breve farò la mia prima presentazione e sembra che ne seguirà una anche dopo. Sarà quindi la prima volta che mi esporrò al pubblico come scrittrice e non solo virtualmente. Quest'ultimo anno sono cambiata molto come persona e credo che gran parte di questo cambiamento lo debba all'uscita del mio romanzo. Ho imparato a buttarmi e a crearmi situazioni favorevoli, che mi hanno permesso di conoscere persone nuove, grazie alle quali mi si sono aperte nuove porte.
Penso che il cambiamento si stia riflettendo anche nel mio modo di scrivere.
Per esempio uso sempre meno carta e penna per passare direttamente alla tastiera. Ho scoperto un modo di scrivere più veloce e non di rado mi capita di mettermi davanti al computer per scrivere una frase e ritrovarmi a scrivere interi paragrafi. Sono più sciolta e lascio correre i pensieri mentre le dita pigiano i tasti. Mi sembra anche che il mio italiano sia migliorato. Mi sono accorta di usare termini, che sì conoscevo, che però trascuravo.
Scrivo anche meno racconti per lasciare più spazio al nuovo romanzo, ma nello stesso tempo ho iniziato la stesura di un racconto, che dovrebbe diventare la sceneggiatura di un film. Tra l'altro su uno sport che fino a qualche mese fa non sapevo nemmeno esistesse. È un progetto che mi ha proposto un amico e sul quale, forse con un po' di incoscienza, mi sono lanciata.
Avete notato anche voi qualche cambiamento nel mio modo di scrivere? E voi, come persone, scrittori, lettori, state cambiando?

mercoledì 20 aprile 2016

È solo questione di marketing

Ci sono libri che vendono centinai di migliaia di copie e quando ti capita di leggerli ti chiedi come mai. Non mi riferisco a quei libri che riscontrano il gusto di massa, che a loro modo, pur essendo piuttosto prevedibili e pieni di stereotipi, concedono al lettore una lettura rilassante e per alcuni versi piacevole. Mi riferisco invece a quei libri che davvero non concedono nulla al lettore, brutti, insignificanti e senza trama.
Un esempio è “Prometto di sbagliare” di Chagas Freitas Pedro. Il libro ha una bella copertina, una quarta avvincente e il risvolto interno della copertina ancora di più, che ti promettono una bella storia coinvolgente di un amore sofferto e clandestino, che era iniziato senza essere mai diventato e che avrebbe potuto riscattarsi a discapito del presente. In realtà, dopo poche pagine, ti accorgi che il libro non manterrà le sue promesse. Capitoli e capitoli di storie d’amore diverse, non legate le une alle altre, con personaggi solo appena accennati. Il libro sembra una raccolta di appunti di storie che potrebbero essere raccontate. Assomiglia un po’ al mio file di appunti per storie future. Una vera delusione. E non solo mia. Mi bastava solo dare retta alle innumerevoli recensioni negative di lettori delusi. Ma forse è stato proprio il fatto che il libro non riscontrasse proprio il favore del pubblico a convincermi all’acquisto. È il libro che fa per me, mi sono detta, perché se la storia non piace vuol dire che è lontana dalle solite storie ed è proprio quello che cerco: una lettura diversa.
È indubbio che non leggerò mai più nulla di questo autore, e probabilmente reagirà allo stesso modo buona parte dei lettori delusi, ma rimane il fatto che ha venduto milioni di copie, perché c’è stato davvero un bel lavoro di marketing a monte. Un bel trailler, una quarta di copertina accattivante, una pubblicità martellante piena di promesse, articoli su riviste e giornali. Se non ci fosse stato tutto questo, sicuramente il libro non avrebbe venduto tanto e non sarebbe nemmeno stato tradotto all’estero, fino ad arrivare nelle librerie italiane (l’autore è portoghese).
Credo che qualunque libro con un piano marketing del genere riuscirebbe a vendere migliaia di copie (anche il mio!?).
Mi sorge spontanea una domanda: ma in base a quale criterio una casa editrice (parlo di quelle grosse) decide di puntare tutta la sua forza promozionale su un titolo, piuttosto che su un altro?

mercoledì 13 aprile 2016

I social un aiuto agli scrittori timidi

Immagino che lo avrete già capito: sono una persona schiva, che non ama molto mettersi in mostra, né sventolare ai quattro venti i propri successi. Il mestiere dello scrittore, da questo punto di vista, è proprio quello che fa per me: seduta da sola alla scrivania ad immaginare storie e trascriverle per i lettori. Peccato che lo scrittore moderno non può più permettersi di stare all’ombra e se vuole essere letto deve attivarsi in prima persona per farsi conoscere. Deve uscire dal suo nascondiglio e parlare del proprio libro, mostrarsi al pubblico e fare presentazioni. Sì, perché l’esperienza insegna, il fatto di aver pubblicato non è sufficiente per garantire la vendita del libro. Non con una piccola casa editrice, almeno. Non posso parlare dei colossi dell’editoria, dei quali non ho alcuna esperienza, ma visto la pubblicità che vedo in giro, mi sembra che questa sia dedicata ai soliti noti. Così lo scrittore moderno deve uscire allo scoperto e quanto meno avvertire i potenziali lettori che esiste anche il suo libro, perché sì anche lui scrive. E qui iniziano i grattacapi.
Se non fosse stato per facebook, credo che delle persone che conosco solo una decina di loro, quelli più intimi e vicini a me, avrebbero saputo che scrivo e che ho pubblicato qualcosa. E come avrebbero potuto? Per carattere non sarei mai riuscita a dire: «Ehi! Lo sai che ho pubblicato un libro?»
Però condividere la propria gioia di aver pubblicato, postando un timido articolo (e una grande foto) sul famoso social è stato un gioco da ragazzi! E devo dire che l’interesse tra gli amici di facebook si è subito fatto sentire.
Davvero, la mia esperienza dimostra che i social aiutano a farsi conoscere. Non ho ceduto assolutamente allo spam. Ho creato pochi piccoli discreti post a uso e consumo della mia cerchia di amici virtuali e poi mi sono creata una pagina pubblica come scrittrice, non legata alla cerchia delle amici virtuali, per permettere l’accesso all’io scrittrice anche da parte di persone che non rientrano nella mai cerchia di amicizie (virtuali). Mi sono, infine, iscritta ad alcuni gruppi a tema: soprattutto di libri, ma anche territorialmente e moralmente interessati al terremoto del Friuli. Grazie a uno di questi gruppi ho conosciuto una ragazza che organizza eventi e abbiamo iniziato una collaborazione. A breve, grazie a lei, farò la mia prima presentazione!
Ora non so come andrà e non so come reagirò a parlare in pubblico, e magari questo ve lo racconterò più in là, ma certamente da sola non sarei mai riuscita a propormi per una presentazione.
E a voi i social sono d’aiuto come scrittori?

mercoledì 6 aprile 2016

Un ultimo saluto

Riesco a leggere il quotidiano locale solo quando sono in ferie e mi concedo la colazione al bar con tranquillità. Di solito rappresenta una mezz’ora tutta mia, da godermi in tranquillità.
Di solito, perché quel giorno, mentre mi portavo la tazza del cappuccino alla bocca, mi è caduto l’occhio su un articolo. O meglio sulle foto a corredo dell’articolo: una macchina completamente distrutta e la foto del suo conducente. Una morsa mi ha stretto la gola, il cuore e lo stomaco, quasi si trattasse di un unico organo.
Ho dato una rapida occhiata all’articolo, per aver la conferma che il conducente fosse morto.
Con le mani tremanti ho pagato la consumazione e sono uscita dal locale prima che chiunque notasse la mia agitazione. Sono salita in macchina e ho preso fiato.
Non era possibile. Forse mi ero sbagliata. Eppure l’articolo parlava chiaro e la fotografia ancora di più.
Urlai e accasciandomi sul volante mi sono messa a piangere, disperata e senza contegno.
Il mio uomo era morto in un tragico incidente la sera prima. Aveva perso il controllo del mezzo, forse per un colpo di sonno.
In realtà non era proprio il mio uomo. Era l’uomo di un’altra, perché pur amandolo alla follia lui era sposato con un’altra donna.
Non volevo diventare un’amante, una distruggi famiglia, ma era successo.
Luca era stata una vecchia fiamma ai tempi della scuola. Non proprio una vera e propria coppia, causa la timidezza di entrambi. Era evidente che ci piacevamo e per un po’ avevamo flirtato, ma nessuno dei due aveva avuto il coraggio di fare la prima mossa. Poi si sa, la scuola finisce, ci si perde di vista e la vita ti porta da tutt’altra parte.
Ci siamo rincontrati per caso dopo vent’anni.
Era estate e avevo promesso a mia figlia di portarla ad una di quelle sagre paesane di maggior successo, che richiamano l’attenzione di persone proveniente da tutta la regione. Mentre facevamo la fila per il trucca-bimbi, ho sentito uno sguardo addosso e voltandomi ho visto in mezzo alla folla i suoi occhi. Anche dopo tanto tempo, ho subito riconosciuto quello sguardo. Ci siamo guardati per un po’ e Luca si è avvicinato, dicendomi: «Ma allora sei davvero tu!»
Dopo i primi convenevoli e lo scambio delle prime informazioni tra persone che non si vedono da molto tempo, quali il lavoro e la famiglia, ci siamo trovati seduti all’interno di un bar a parlare come due vecchi amici che non avevano mai smesso di frequentarsi.
Mi parlò del suo lavoro come giornalista, che lo portava a girare un po’ per tutta l’Italia, di suo figlio che aveva un anno più della mia, della moglie che non amava il vecchio paese e preferiva passare le vacanze sola in città, piuttosto che andare a trovare gli anziani genitori del marito. Io gli accennai del mio divorzio e del mio lavoro come maestra.
Quando ci salutammo, ero certa che non lo avrei più rivisto per tanti anni ancora. Per molti giorni ripensai nostalgica a lui, ai tempi passati, a quello che poteva essere stato ma non era stato e al suo sguardo quando mi aveva ritrovato tra la folla. Soprattutto quello sguardo, che rivelava un uomo innamorato. Lo stesso sguardo che aveva quando andavamo a scuola e che non aveva mai avuto il coraggio di confermare concretamente.
Alcuni giorni dopo ricevetti la sua richiesta di amicizia su facebook e di lì a ritrovarci fu davvero semplice. Ci vedemmo un paio di volte per bere un aperitivo insieme, facendo finta di essere solo amici, e poi iniziammo a scambiarci messaggini. A volte mi sentivo in colpa nei confronti di sua moglie, ma mi giustificavo dicendomi che in fondo non stavamo facendo nulla di male, che eravamo solo amici. Ma il desiderio di rivederlo cresceva di giorno in giorno ed ero certa che Luca provasse lo stesso sentimento, finché un giorno mi confessò che si era lasciato sfuggire l’occasione una volta, ma che non lo avrebbe permesso una seconda. Gli risposi che era sposato e che ormai era troppo tardi, ma lui mi afferrò e mi baciò. Al ricordo di quel bacio, mi vengono ancora le farfalle allo stomaco.
Iniziò così la nostra relazione e quando mi accennò alla possibilità di lasciare la moglie, mi rifiutai ostinatamente.
«Devi pensare prima di tutto a tuo figlio.» Gli dissi, ricordandomi quanto la mia piccola aveva sofferta dalla mia separazione dal padre.
Non  avevo parlato della nostra storia a nessuno: mia madre si sarebbe infuriata, accusandomi di essere una poco di buono e una sfascia famiglie, facendomi sentire non solo in colpa, ma come una peccatrice, rammentandomi che non erano stati quelli gli insegnamenti che mi aveva dato, proprio come quando mi ero separata; le mie amiche sposate mi avrebbero ammonito e forse avrebbero visto in me tutte le potenziali concorrenti al loro felice matrimonio; quelle single… be’ non c’era nessuna con cui avessi tana confidenza da rivelare un tale segreto. Forse perché in cuor mio sapevo che non era proprio una cosa giusta.
Ora mi mancava un’amica con cui sfogarmi, una spalla su cui piangere e cercare conforto. Invece ero sola nel mio dolore. Mi chiusi in casa per poter pianger, adducendo un po’ di influenza. Per fortuna il mio ex marito fu felice di tenere con sé nostra figlia ancora qualche giorno. Soprattutto davanti a lei non avrei potuto mostrare il mio dolore e confessare che la mamma aveva una vita segreta.
Ero sola e quando uscivo dovevo indossare la maschera della normalità perché non potevo rivelare a nessuno che il mio uomo era morto. Non potevo rivelare a nessuno che amavo un uomo che ora non c’era più. La cosa più difficile era dover simulare una normalità che nel mio cuore non esisteva. Avevo il cuore a pezzi e non potevo mostrarlo.
Io per quell’uomo non era ufficialmente nessuno, nemmeno un’amica, perché noi assieme non esistevamo per nessuno. Nessuno ci aveva mai visto assieme, nessun legame ufficiale ci univa agli occhi dei nostri amici e conoscenti.
Sono andata al funerale e mi sono confusa con la piccola folla che accompagnava il dolore della famiglia, cercando di trattenere il mio di dolore. Non potevo certo apparire più inconsolabile della vedova, ma dovevo accompagnare il feretro per dare un ultimo saluto al mio uomo.