mercoledì 22 giugno 2016

Il libro giusto da portare in vacanza

Oggi non voglio darvi consigli lettura, perché in questo periodo articoli che già lo fanno ce ne sono davvero a bizzeffe. Vi dirò, invece, quali caratteristiche possederanno i libri che mi metterò in valigia, perché dovranno essere almeno tre. Tre è il numero per una settima al mare, anche se so che non li leggerò tutti. Una volta sì, li avrei letti, ma ora che ho due bambine piccole da seguire minuto per minuto in spiaggia e dentro l'acqua, non posso concedermi il lusso di leggere tranquillamente sdraiata sotto l'ombrellone. Ciò nonostante, me ne porterò tre.
Durante le ferie mi piace dedicarmi a letture leggere, che mi non mi impegnino troppo. Quindi niente saggi. In spiaggia (lo avete capito, quest'anno vacanza classica al mare!) preferisco dedicarmi a romanzi e non troppo impegnati. Magari una storia ambientata in posti esotici, ma non necessariamente; a volte si dimentica quanto possano essere affascinanti anche i luoghi vicino a casa. Spero solo di trovare una storia che mi stupisca, che mi trasporti nella lettura e che mi lasci un bel ricordo da legare a quella settimana di relax.
La cosa più importante, però, quando vado in vacanza, sono le caratteristiche fisiche del libro. Non voglio sembrare superficiale, ma quando viaggio preferisco portare con me libri dalle dimensioni compatte, facili da trasportare, più leggeri e maneggevoli. Quindi bene le edizioni economiche e la copertina flessibile.
E per voi, come deve essere il libro ideale da portare in vacanza?

mercoledì 15 giugno 2016

Discriminazioni di genere

In campo letterario non mi sono mai sentita discriminata come donna. Sarà che il mestiere di scrittore è già difficile di per sé e chiunque, uomo o donna, che cerchi di pubblicare e di emergere trova davanti inevitabilmente molte difficoltà da superare. Mai però ho avuto la sensazione che le difficoltà a emergere fossero dovute al fatto che non sono solo uno scrittore, ma addirittura una scrittrice.
Durante la lettura "Scrivere? Non è un mestiere per donne" di Laura Costantini, mi si è però acceso un campanellino in testa. Giudicherete voi se fin'ora ho peccato di ingenuità o se invece il campanellino in questione si è acceso per nulla.
Un giorno un amico mi ha chiesto di parlargli del romanzo che sto scrivendo e dopo avergli descritto per sommi capi la trama, candidamente mi ha chiesto: «E ci metterai dentro anche una storia d'amore, vero?». E alla mia riposta affermativa la sua risposta è stata: «Ovviamente.», con un tono sufficiente. Gli ho però spiegato che mi serviva per la trama, considerato che il mio protagonista deve farsi una famiglia con dei figli. «Hai ragione, non ci avevo pensato. Ma comunque non è proprio necessaria una storia d'amore...». D'accordo non è necessaria una storia d'amore, potrei fare sposare il mio protagonista con un matrimonio combinato (il matrimonio, sì, deve starci, trattandosi, tra l'altro, di un romanzo storico), ma sinceramente toglierebbe un po' di brio alla storia e forse sarebbe proprio una forzatura: si tratta di un uomo venuto da molto lontano e stabilito in un piccolo borgo di montagna dove non conosce nessuno. 
Questo scambio di battute è avvenuto un paio di mesi fa e, come vi ho detto in premessa, lo avevo quasi rimosso, non fosse che il libro della Costantini evidenzia in uno dei capitoli, come l'immaginario comune releghi i romanzi scritti da donne proprio tra quelli rosa, anche se la storia d'amore è solo marginale, diversamente da quello che si penserebbe della stessa storia se fosse scritta per mani di un uomo.
Il fatto è che l'amico in questione non mi aveva mai dato la sensazione di considerarmi una scrittrice per sole donne, considerato che mesi prima mi ha chiesto, e ottenuto, di scrivergli una sceneggiatura per un film il cui tema è, parlando per cliché, davvero maschio: il gioco del softair.
Ora ditemi voi: il campanelino in testa lo lascio acceso o lo posso spegnere tranquillamente?

mercoledì 1 giugno 2016

Vale ancora la pena fare presentazioni?

Oggi volevo parlarvi della mia recente esperienza, ma volevo farlo in modo diverso. Poi mi è capitato di leggere il post "Perché non fare più presentazioni di libri" della casa editrice Zandegù e l'articolo ha preso una piega diversa.
L'editore sostiene che le presentazioni non volgono la pena perché c'è poca partecipazione, a volte completamente assente, o gli spettatori sono parenti dell'autore o dell'editore, giusto per fare numero e le vendite sono scarse.
Bene, lo dico sinceramente: non sono affatto d'accordo
Ovviamente lo dico per le esperienze che ho avuto personalmente, prima come lettrice e, di recente, come scrittrice.
Sarà che vivo in una realtà territoriale dove ci sono poche iniziative e quindi anche la presentazione di un libro può essere l'occasione per uscire di casa e fare una cosa nuova... ma non credo. Ad ogni modo, alle presentazioni a cui ho partecipato come lettrice spesso la sala era piena. Quindi un ottanta, cento persone. Per lo più questi eventi erano patrocinati (se non addirittura organizzati) dalle amministrazioni comunali ospitanti, ma non credo sia questo il fattore determinante per la partecipazione. Probabilmente gli organizzatori hanno saputo promuovere l'evento. Da spettatrice mi è pure parso che ci sia stato un buon ritorno in copie vendute, anche se non ho dati alla mano.
Come scrittrice, invece, ho appena iniziato a fare presentazioni e posso parlarvi delle mie uniche due esperienze dell'ultimo mese.
La prima presentazione è stato un successone. E sì che mi trovavo in un comune dove non ero mai stata prima e dove nessuno mi conosceva. La sala era gremita di persone. Il primo pensiero è stato che la partecipazione era merito del coro che riempiva la serata, ma alla fine mi sono invece resa conto che la maggior parte era venuta proprio per il mio libro (al solo pensiero mi gaso ancora!). E le vendite sarebbero state eccezionali se il mio editore non mi avesse, ahimè, detto che quando una presentazione va davvero bene si vendono al massimo quindici copie (e raggiungere questo risultato è un'eccezione, quasi un'utopia).
Purtroppo non avevo copie a sufficienza per soddisfare tutte le richieste e la cosa mi ha parecchio amareggiato. Sento di aver deluso il caloroso pubblico che aveva partecipato alla presentazione e credo che in qualche modo questo fatto abbia anche danneggiato la mia immagine... Non mi resta che sperare che chi non ha potuto acquistarlo quella sera, lo abbia cercato in libreria.
Il secondo evento, che si è svolto nel comune dove lavoro, è stato un po' meno partecipato, ma una cinquantina di persone era comunque presente e diverse di loro aveva già acquistato una copia del mio libro, conoscendomi di persona. Alla presentazione era stata legata una rappresentazione teatrale a tema. Anche le vendite sono state discrete.
A completezza di informazione, devo dire che come vantaggio ho avuto il fatto che il mio libro parla del terremoto del 1976 in Friuli e quest'anno cade il quarantesimo anniversario, anche se le due presentazioni sono state fatte in territori che pur avendo subito danni dal sisma, erano comunque ben più lontane dall'epicentro.
Posso comunque dirvi che a più di un anno dall'uscita del mio breve romanzo ho venduto molte copie, che senza queste serate di promozione non avrei venduto e molte persone non avrebbero saputo nemmeno che esisto.
E vi garantisco che per me è stato davvero una dura prova mettermi davanti a tante persone e parlare di me e del mio libro, ma sono state esperienze favolose e sono felicissima di aver fatto, non solo per il ritorno come scrittrice. Nel primo caso, per esempio, ho trovato un pubblico caloroso con cui dialogare, che mi ha accolto a braccia aperte pur non conoscendomi, con cui ho chiacchierato. Ho potuto ascoltare nuove voci e nuove storie sul terremoto.
Posso dirvi che ora che ho vinto la mia reticenza, anche se per me sarà ogni volta una dura prova espormi al pubblico, continuerò a fare presentazioni, perché è l'unico modo per farmi conoscere e per vendere di più.