domenica 29 ottobre 2023

Con lo sguardo rivolto al buio - Racconto


Amira posa sul tavolinetto del salotto il calice di vino, che si è versata poco prima in cucina, e si accomoda sul divano, allungando le gambe sulla chase long e vi adagia sopra con cura la coperta.

Afferra il libro lasciato aperto sul tavolinetto la sera prima.

È il suo rito serale, per rilassarsi dalle estenuanti giornate lavorative.

Non ha mai sofferto di solitudine, nemmeno quando il marito rientrava a notte fonda, senza mai averla avvisata di quei suoi improbabili ritardi di lavoro. Nemmeno ora la disturba immergersi nel silenzio serale della casa, anzi, dopo il divorzio è stato un sollievo avere la casa tutta per sé, senza temere le infinite e snervanti litigate.

Kiko, il suo affezionato gatto, con un agile balzo le si adagia sulle ginocchia e dopo aver ricevuto la sua dose di coccole, procede con la pulizia serale.

Amira, ama guardare il gatto lustrare meticoloso il pelo: la rilassa.

Riprende la lettura del libro, un thriller scelto per le sue tinte fosche, ideali per gli ultimi giorni di ottobre, mentre Kiko si appallottola e le si addormenta in grembo.

D’un tratto il felino scatta seduto sull’attendi e guarda fisso verso il buio del corridoio, attraverso la porta aperta del salotto.

Non è la prima volta che nel silenzio più totale ha uno di questi scatti per assumere una posizione di vedetta e fissare il buio, e ogni volta ad Amira le si rizzano i peli delle braccia. Tante volte ha scostato il gatto e, tremante, si è avvicinata allo stipite della porta allungando una mano per accendere la luce del corridoio e verificare poi l’assenza di chicchessia, umano o animale.

L’ex marito la canzonava ogni volta che gli raccontava quanto si spaventava. I primi tempi glielo diceva per far leva sulla sua coscienza, sperando che, sapendola sola e potenzialmente indifesa, avrebbe cominciato a rincasare presto, poi, quando ormai non sperava più nella coscienza dell’uomo, glielo raccontava così, solo per esorcizzare un’ansia che le si insinuava fino dentro le ossa.

«Fifona!» La canzonava, scoppiando in una sguaiata risata.

Lui non capiva.

Il gatto si destava dal sonno come se avesse sentito un rumore e fissava il buio come se ci fosse qualcosa o qualcuno che si muoveva molto, molto lentamente. Qualcuno o qualcosa che lei non sentiva e non vedeva ma che percepiva. Sentiva una presenza gelida e inquietante e il suo sesto senso si metteva in allerta.

Anche stasera alla reazione del gatto un brivido gelido le attraversa le braccia, scorrendo lungo il busto, aggrappandosi allo stomaco per poi procedere veloce lungo le gambe.

Facendo sforzo sulla propria razionalità, accarezza il gatto e con voce tremante lo ammonisce: «Kiko, tesoro della mamma, lo sai che quando fai così mi fai venire i brividi. Su, dai, rimettiti a dormire, lo sai che non c’è nessuno...»

Il gatto però non sembra d’accordo con lei, ma anzi da seduto si rizza sulle zampe e comincia a gonfiare il pelo.

Amira sente le vene svuotarsi.

Scende dal divano e si avvicina lentamente alla porta guardando il buio.

Allunga una mano esitante in cerca dell’interruttore, senza smettere di guardare davanti a sé, ma qualcosa la afferra e la risucchia repentina nel buio.

Kiko, osservatore silenzioso della scena, si adagia sulla zampe posteriori, continuando a guardare fisso verso l’apertura buia e, dopo un paio di minuti, si acciambella sulla coperta che emana ancora il tepore della sua umana e si addormenta.

La sua umana non farà mai più ritorno.