Un’antica
leggenda narra che la notte tra il 31 ottobre e il 1° novembre i morti possano
tornare dai vivi, parlare con loro e passare insieme un po’ di tempo. Questa
speranza era stata per Alba l’unico spiraglio di vita, dopo la morte di Francesco.
Aveva atteso quella notte per mesi e ora finalmente avrebbe potuto rivedere il
suo amore; chissà, magari avrebbe anche potuto riabbracciarlo.
Durante
il giorno aveva pulito tutta casa, con particolare attenzione al salotto, dove
si accingeva ad attendere la sua venuta. Accese le candele profumate sul
tavolino basso e si accomodò sul divano rosso con le gambe accucciate verso il
corpo. Si era avvolta attorno il plaid bianco, quasi fosse un abbraccio
sostitutivo di Francesco. Accese lo stereo e lasciò che si diffuse una dolce
melodia nella stanza. Con il cuore che ad ogni minuto sobbalzava in trepida
attesa, sfogliava una rivista di moda, cercando di concentrarsi sui nuovi trend
di stagione. Ma la mente vagava nel ricordo di Francesco e del tempo che
avevano passato assieme. Il primo incontro, con quell’uomo bellissimo ma
insolente, in fila per giocare al lotto. Si erano poi incontrati diverse volte
in ricevitoria e l’amicizia a poco a poco era nata per poi trasformarsi in
passione. Ripensò alle lunghe chiacchierate seduti davanti al caminetto di casa
sua a parlare svogliatamente di temi scottanti come la politica, le tragedie
nel mondo e, in modo più coinvolto, di giocate al lotto e di eventuali funerali
che, di tanto in tanto, irrompevano nella loro esistenza. Ogni volta che moriva
qualcuno che conoscevano, Francesco diceva, a seconda dei casi: “un genitore
non dovrebbe mai sopravvivere ai propri figli” o “se muoio io per primo, ti
porto in sogno i numeri del lotto”. Fin’ora non lo aveva mai fatto. Francesco
era terrorizzato dalle malattie e, tragicamente, quella lo aveva colpito e
portato via. Ripensò a quegli ultimi giorni di sofferenza: in pochi giorni lo
aveva consumato e portato via. Ricacciò indietro le lacrime: quello non era un
giorno triste, ma di speranza. Guardò l’orologio sopra il televisore spento:
già mezzanotte, pensò. Ripose la rivista sopra il tavolino, spense lo stereo e
accese la televisione. Girò i canali uno per uno alla ricerca di qualche
trasmissione interessante, che le permettesse di passare il resto dell’attesa
vigile, ma spensierata. Si soffermò un po’ di tempo a guardare un programma di
anticipazioni cinematografiche e poi ricominciò a vagare tra i vari canali. Il
tempo ora le sembra interminabile. Non sentiva più nessun rumore, nemmeno dalla
strada. Si distese dolcemente appoggiando la testa sul cuscino. L’orologio
indicava l’una meno un quarto di notte. Decise di guardare una sit-com
vecchissima, che passavano periodicamente da anni in televisione. L’una e mezza.
Ora sentiva freddo e decise di aggiungere al plaid un’altra coperta, per
scaldarsi un po’. Una volta creato un nido caldo non provò nemmeno a cambiare
canale in televisione per non dover allungare il braccio verso il telecomando. L’ultima
volta che guardò l’orologio erano le due e sette minuti e Francesco non si era
ancora fatto vedere. Nemmeno se ne rese conto, ma si addormentò.
Si
svegliò solo quattro ore dopo, quando la luce entrava accecante dalla finestra:
la sera prima si era dimenticata di chiudere le tapparelle. Smarrita si mise
seduta. Quanto era stata stupida a credere ad una simile sciocchezza: è ovvio
che i morti non ritornano! In cuor suo lo aveva sempre saputo che era solo una diceria
per babbei, ma ci aveva voluto credere. Si era resa improvvisamente conto di
essere stata un povera illusa, nemmeno avesse avuto dodici anni. Piano si alzò
dal divano; le facevano male tutte le ossa. Se non fosse stata così sciocca e
cieca, avrebbe almeno dormito nel suo letto. Si diresse lentamente verso la
porta del corridoio, con il plaid ancora sulle spalle, ma tornò sui suoi passi.
Sul tavolino c’era qualcosa che la sera prima non c’era: una ricevuta di
giocata del lotto. Afferrò il foglietto arancione, lo osservò bene e scoppiò a
piangere.